Virginia Raggi con i giocolieri in via Petroselli a Roma (foto LaPresse)

Parzialmente sindaca

Salvatore Merlo

Virginia Raggi crea a Roma il mezzo assessore, l’assessore part-time. Tra Calvino e Crepet. Da ridere non c’è

Sorride forse d’imbarazzo, guarda il suo assessore al Turismo, l’uomo che gestisce la principale industria di Roma, affossa la testa nelle spalle come per prendere la rincorsa, e finalmente, in una conferenza stampa affollata, prorompe tutto d’un fiato: “L’assessore Meloni ci lascerà parzialmente per stare più vicino alla famiglia e ai suoi interessi”. E in quell’avverbio, “parzialmente”, c’è tutta Virginia Raggi, la sindaca di Roma che forse per restare nella media di quasi mezzo assessore al mese fuggito dal Campidoglio – sono cambiati diciassette in due anni – crea così il mezzo assessorato, ovvero l’assessore part-time, la mezza misura dell’amministrazione comunale, una figura che se non fosse solo un’escogitazione furbesca potrebbe presto diventare materia di studio nelle università, nei corsi di Scienze politiche, in quelli di Neuropsichiatria, insomma un caso di ricerca per il prof. Angelo Panebianco o un caso clinico per il dottor Paolo Crepet. Il parzialmente assessore, dunque, come il latte parzialmente scremato, mezzo grasso e mezzo magro, come l’acqua leggermente frizzante, una mezza porzione a mezzo servizio, un po’ a Milano dove torna a fare il manager e dove l’aveva pescato Davide Casaleggio, un po’ a Roma, dove dovrebbe gestire un indotto, quello del turismo, che macina miliardi e richiederebbe un ministero (intero) e forse addirittura una legge speciale.

    

Si era lamentato, Adriano Meloni, del nuovo regolamento sul commercio, delle decisioni delle commissioni capitoline governate dai Cinque stelle, di quelle norme che – diceva lui – difendono l’illegalità che a Roma assale Piazza Navona e le strade del centro: il mondo degli ambulanti, dei minimarket (che sono dei mezzi supermercati), del parzialmente legale nella città del pressappoco. E infatti la Raggi, che è mezza di ogni cosa, gli rispondeva che è “impossibile accontentare tutti”, perché tutti in fondo hanno mezza ragione e mezzo torto. Così alla fine Meloni ha deciso di lasciare l’assessorato allo Sviluppo economico a Carlo Cafarotti, che presto sarà il diciottesimo assessore cambiato dalla giunta Raggi, la sindaca che alla fine potrebbe trovarsi con più ex assessori di quanti guerrieri di terracotta ebbe l’antico imperatore cinese Qin Shi Huang. Ma attenzione. In questa storia magica e surreale, che sarebbe piaciuta a Italo Calvino, il 9 maggio sarà solo metà assessore a dimettersi. Perché il giorno dopo, il 10, l’altra metà di Meloni, come il visconte del racconto, tornerà a occuparsi “parzialmente” di Turismo (ma non più di Lavoro e Commercio).

   

E ben si capisce che l’assessore dimezzato, che però si occupa della principale attività economica della città (che non è mezza ma è intera), è insieme un’astrazione letteraria, un concetto politico e una metafora dei Cinque stelle al potere. Dove gli sforzi e le competenze dovrebbero raddoppiare, Raggi dimezza. Viene allora da pensare che in queste mezze dimissioni del mezzo assessore, in fondo, non ci sia che l’intera devozione della sindaca per le mezze cose, per le mezze figure di governo e per il mezzo turismo, per il mezzo decoro in mezzo alla monnezza, il bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto, insomma la mediocrità – pardon: la mezzietà – in forma di amministrazione pubblica, nell’unica città in cui persino i fini diventano mezzi.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.