Una veduta di un porto nelle Isole Tremiti (Foto di Tnello, via Flickr)

Per cambiare il trend del lavoro in Molise non basta la retorica del “basterebbe che”

Giovanni Maddalena

Nella regione serve una svolta culturale e il coraggio di stravolgere antichi paradigmi mentali valorizzando realtà culturali, imprenditoriali e sociali

Lavoro, lavoro, ancora lavoro. E’ questa l’unica vera, profonda necessità del Molise, che rischia di trasformarsi nell’Ohio o nella West Pennsylvania d’Italia, il luogo indicativo per le sorti future del paese. Il Molise è una piccola, bellissima e sconosciuta regione d’Italia. Sul perché sia una regione si discute ancora e la sua sperdutezza è così eclatante da far conoscere il Molise solo per il detto che ne mette in dubbio l’esistenza. Eppure, sarebbe, dovrebbe essere, un Paradiso. Mare e monti, dove l’Adriatico comincia a diventare blu e i monti si innevano ancora; un patrimonio artistico-culturale frutto di una storia gloriosa tra Sanniti, feroci e sfortunati avversari di Roma, e medioevo benedettino; un patrimonio naturale importante tra i boschi del Parco Nazionale e le coltivazioni antiche e moderne di vino e cereali. Da qualche decennio c’è anche l’università, che ha raggiunto standard nazionali e internazionali adeguati e che può ancora crescere. Soprattutto, c’è in Molise una naturale inclinazione alla gentilezza e all’apertura nell’indole di gente mite, non a caso estranea alla violenza della grande criminalità. Con queste caratteristiche e questi numeri ristretti su un territorio tanto bello e ricco dovrebbe essere una regione prospera o dovrebbe diventarlo a breve.

 

E invece no. Non c’è lavoro, i giovani se ne vanno, i bellissimi paesi interni sono spopolati. Il “si dovrebbe” e il “basterebbe che” formano la retorica comune di ogni discorso, mentre gli anni passano senza cambiamenti. Di chi è la colpa allora? Della politica, si dice, della maledetta politica che “basterebbe che” facesse e invece non ha fatto niente.

 

In realtà, a chi viene da fuori amando questi posti e queste persone, almeno due fattori critici al proposito risultano evidenti.

   

Il primo, che crea i medesimi problemi in Molise e in Val d’Aosta, è la stessa ristrettezza dei numeri che potrebbe essere una risorsa. Tutti conoscono tutti. Solo che spesso la valorizzazione del capitale sociale, il puntare sul patrimonio umano delle singole persone e delle reti sociali, tende ad avvenire secondo la modalità bonding, il legame stretto ed esclusivo del cosiddetto familismo descritto da Robert Putnam. Non conosco e scelgo la persona o la realtà sociale perché è valida ma diventa valida e la scelgo perché la conosco. Per questa dinamica buona parte dei politici di lungo corso ha cambiato partito e schieramento almeno una volta e verso i partiti nuovi e vincenti già si inizia a vedere la medesima transumanza. Di fatto, viene valorizzato e conta il legame chiuso del circolo dei conoscenti invece di prodursi quella che Stefano Zamagni chiama una vera sussidiarietà circolare tra enti-società civile-mercato basata su una valorizzazione bridging del capitale sociale, ossia un puntare su quei pezzi di società che aiutano ad aprirsi con fiducia al mondo, alle dinamiche nazionali e internazionali, creando ponti (bridges) e rapporti nuovi.

 

Il secondo fattore critico è invece, davvero, la politica. Il problema però non è la colpa di questo o di quel politico, ma la speranza assoluta che nella politica ciascuno ripone, anche e soprattutto chi ne parla male. Anche i futuri candidati alla presidenza in fondo sembrano condividere il medesimo assunto culturale: basterebbe una politica più efficiente della regione e tutto andrebbe bene. Basterebbe una distribuzione più giusta. A destra e a sinistra, e anche fra le stelle (soprattutto fra le stelle), si pensa che basterebbe cambiare i politici e tutto andrebbe bene perché la politica – sempre lei – cambierebbe la situazione radicalmente in meglio. Si sono scritte molte pagine su questo retaggio statalista/padronale/centralista che attanaglia lo struggente sud d’Italia, ma è disarmante viverlo, soprattutto quando sono i più giovani che se fanno portatori, contrariamente alle doti naturali di intenzioni e intelligenza. Dà il senso di un vecchio innaturale, come il “morire a vent’anni” che cantava Lucio Dalla, grande amante delle isole Tremiti che si affacciano sulla costa termolese.

 

Per cambiare il trend del lavoro occorre dunque affrontare le questioni culturali profonde, avendo il coraggio di stravolgere antichi paradigmi mentali valorizzando realtà culturali, imprenditoriali, sociali e, soprattutto, persone che si muovono già secondo dimensioni adeguate ed eccellenze bridging, al servizio di tutti. Ci vorrà tempo, un lungo cammino e non la breve corsa di una campagna elettorale per una volta all’onore della cronaca nazionale. Senza questa consapevolezza, che finora non è apparsa nella campagna elettorale, continuerà la retorica del “basterebbe che”, ma anche stavolta non basterà.

Di più su questi argomenti: