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L'impossibilità di flat tax e reddito di cittadinanza sta nelle tasse che l'Italia non paga

Renzo Rosati

I dati fiscali dalle denunce 2017 più che di diseguaglianze parlano di evasione e di welfare pagato interamente da chi più produce e più denuncia imponibile

Roma. Quell’appuntamento fisso – fine marzo, poco prima che inizi la sarabanda di modalità e scadenze della denuncia dei redditi (precompilata, modello unico, Iva, eccetera) – con il quale il ministero dell’Economia e finanze comunica i dati fiscali dell’anno prima, a loro volta relativi ai redditi dei dodici mesi precedenti, si è celebrato mercoledì 28 con la solita ritualità, e le solite “non sorprese”. In sintesi secondo le dichiarazioni Irpef 2016 presentate lo scorso anno il reddito complessivo, prima che intervengano deduzioni e detrazioni, dichiarato dai 40,87 milioni di contribuenti (cioè il 66,5 per cento della popolazione), è stato di 843 miliardi (10 più del 2015), e l’imposta netta versata di 156 miliardi, appena più che nel 2015. Ai quali si aggiungono 16,6 miliardi di addizionali locali. Oltre 10 milioni di contribuenti versa zero tasse, rientrando nella fasce di reddito esenti da Irpef: 8.000 euro per il lavoro dipendente e per i pensionati sopra i 75 anni, 4.800 per quello autonomo. Altri 8 mila contribuenti dichiarano fino a 15.000 euro di reddito. Complessivamente dunque tra esenti e redditi minimi siano al 44,91 per cento del totale dei contribuenti, i quali hanno versato il 4 per cento dell’Irpef. Tenendo conto di altri 19,7 milioni di italiani che non risultano contribuenti, abbiamo 38 milioni di cittadini regolari, il 62 per cento della popolazione, che non paga tasse o quasi: da loro viene un gettito fiscale di 6,24 miliardi. Per inciso, poiché gli esenti per motivi anagrafici (bambini e ragazzi fino a 18 anni) sono 14 milioni, sarebbe interessante sapere chi c’è negli altri 5,7 milioni che non versano un euro.

 

Detto di chi non paga, ecco chi paga. Il 49,81 per cento dei contribuenti che dichiara redditi tra 15.000 e 50.000 euro, cioè 20,35 milioni di persone. Il loro contributo alle casse pubbliche è pari al 57 per cento del gettito Irpef: 88,9 miliardi. Il resto dell’introito lo stato lo prende dai redditi oltre i 50.000 euro: il 5,28 per cento dei contribuenti, cioè 2,63 milioni di persone, che versano il 39 per cento del gettito, cioè 60,8 miliardi. Considerando l’intera popolazione, il 4,3 per cento dei cittadini provvede a circa il 40 per cento degli introiti Irpef con 23.120 euro a testa. In sintesi abbiamo una minoranza di poco più di un milione e mezzo di italiani che paga oltre 23.000 euro di imposte dirette l’anno a fronte di 38 milioni sui quali ricade una media di 164 euro. Nel mezzo, oltre 20 milioni di persone pagano a testa 4.368 euro l’anno.

 

Che i “ricchi” paghino il giusto è ovvio. Qui però abbiamo una sorta di piramide delle diseguaglianze alla rovescia: una minima minoranza (e certo non si è tutti propriamente ricchi oltre i 50.000 euro di reddito dichiarato) mantiene, letteralmente, la maggioranza assoluta degli italiani che versa zero tasse, o pochi spiccioli. Il che, come ha spesso rilevato il centro studi Itinerari previdenziali degli esperti Alberto Brambilla e Paolo Novati, pone un problema grande come un grattacielo di sostenibilità del nostro sistema di welfare. Lo stato spende per pensioni, sanità e assistenza 440 miliardi (dati 2014). Di questi solo 173 sono coperti da contributi: 267 devono quindi essere finanziati dal fisco. Ma tolti i 156 miliardi di gettito Irpef ne restano scoperti più di altri 100. E ovviamente il fisco non deve provvedere al solo welfare, ma anche alle altre voci di spesa pubblica, dagli investimenti alla difesa.

 

Al disequilibrio sociale se ne aggiunge poi un altro geografico. A fronte di un reddito medio imponibile italiano di 20.940 euro procapite, abbiamo da una parte la Lombardia che dichiara 24.750 euro e l’Emilia-Romagna 23.020. All’estremo opposto la Calabria con 14.950; e a salire Molise (16.030), Basilicata (16.080), Puglia (16.230), Sicilia (16.270). L’intero centro-sud, escluso il Lazio e comprese Umbria e Marche dichiara imponibili sotto la media nazionale. Naturalmente non ci sono solo le imposte dirette, ma anche quelle indirette (Iva e Irap), la tasse societarie, le accise, eccetera. Nel 2016 il gettito Iva è stato di 124 miliardi su un totale di 205 di imposte indirette. L’Ires sulle società è stato di 35,4 miliardi sul totale di 246 di quelle dirette. L’Irap su base regionale di 22,7 miliardi. Ma la diseguaglianza geografica non cambia, anzi.

 

In questa situazione che cosa avverrebbe con il reddito di cittadinanza la cui promessa ha contribuito non poco alla vittoria dei 5 Stelle? E che cosa con la flat tax al 15 per cento della Lega? E ad programma di governo Luigi Di Maio-Matteo Salvini? Dai dati delle denunce dei redditi risultano potenziali beneficiari del reddito pubblico grillino 11,3 milioni di contribuenti, tre milioni più di quanto stimato dai 5 Stelle. E secondo i dati esposti ieri dal presidente dell’Inps Tito Boeri il sussidio costerebbe non 14,9 miliardi l’anno come sostiene Di Maio, ma 38. Pagato da chi? Beh, basta leggere sopra. Quanto alla flat tax cavallo di battaglia di Salvini, costa, secondo le tabelle diffuse ieri dal dipartimento delle Finanze sempre sulla base delle dichiarazioni del 2017, 56,6 miliardi l’anno. Il 35 per cento dell’intero gettito Irpef. Come lo si finanzia? Secondo la Lega con una maggiore propensione volontaria a pagare le tasse e con il rilancio dei consumi. Ma poiché l’evasione è stimata in circa 270 miliardi, e se per miracolo venisse interamente recuperata, entrerebbero in cassa 40 miliardi. Che nel caso di applicazione congiunta del reddito di cittadinanza a opera di un governo Salvini-Di Maio, basterebbero appena a coprire lo stipendio di stato ai disoccupati. Con tanti saluti per il rilancio dei consumi, dell’economia e del lavoro. E soprattutto con un ulteriore trasferimento di risorse fiscali dal nord per finanziare l’assistenza al sud.