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Reddito (nero) di cittadinanza

Redazione

I dati sui consumi spiegano perché l’idea del M5s gonfierebbe l’evasione

Forse non aveva torto Giulio Tremonti quando, negli anni Duemila, denunciò il fatto che appena 17 mila contribuenti dichiaravano redditi di oltre 300 mila euro mentre si vendevano 230 mila Suv e auto di lusso. L’allora ministro dell’Economia del governo Berlusconi approntò un marchingegno, il redditometro, con software scaricabile per commisurare i propri consumi ai redditi: non è mai entrato in vigore e le simulazioni hanno complicato la vita agli onesti. Magari più efficace, ma considerata eretica, sarebbe stata l’altra sua idea di spostare le tasse dai redditi ai consumi, cioè dall’Irpef all’Iva; tesi da sempre condivisa (anche oggi?) da Giovanni Tria suo successore nel governo pentaleghista, ma a quanto pare destinata a rimanere nel cassetto (Di Maio, azionista di maggioranza del governo, ha già smentito questa ipotesi). E’ passata un’era economica e sociale, la crisi ha certo colpito anche il tenore di vita, ma in Italia si continuano a dichiarare al fisco introiti largamente inferiori a quanto si spende, tenuto poi anche conto che aumentano i risparmi.

 

Uno studio dell’Università della Tuscia sulle denunce dei redditi 2017 relative al 2016 rivela che rispetto a 686,9 miliardi di imponibili i consumi sono stati pari a 785,7 miliardi: una differenza di 98,8 miliardi, il 14,4 per cento. Non tutta è evasione (i bassi redditi sono esentasse, molti redditi d’impresa sono detraibili così come alcuni beni vengono fatturati a società), e in nessuna regione tranne le Marche si spende meno di quanto si ammetta di guadagnare. Però il sud si conferma campione di spesa a fronte dei minori redditi dichiarati: Molise, Campania, Sardegna e Puglia guidano la classifica. Il che, oltre a ridimensionare una mole di chiacchiere sul disagio sociale (che esiste, ma forse non quanto si dice), smentisce l’assunto-base del reddito di cittadinanza, grazie al quale i 5 Stelle alle politiche del 4 marzo hanno spopolato nel meridione. E che abbiano mietuto voti proprio con la promessa del sussidio di stato una volta al governo, lo confermano i risultati deludenti delle amministrative. Quell’assunto è che la disoccupazione ufficiale e i redditi minimi risultanti dall’Irpef e dall’Isee meritano stipendi pubblici per anni e pensioni più alte per sempre. Al Sud si annidano i maggiori redditi nascosti, i quali si nasconderebbero ancora di più. Più reddito di cittadinanza, più lavoro nero, più evasione fiscale.