Misure radicali anti M5s

Salvatore Merlo

Perché la sfida romana tra Magi e Giarrusso va seguita, tra moralità e moralismo, competenza e vanità

Roma. Forse nessun collegio uninominale e nessuna sfida elettorale riassume meglio quel che c’è in ballo in queste elezioni politiche del confronto tra il Movimento cinque stelle e i Radicali, tra il moralismo e la moralità, tra Dino Giarrusso e Riccardo Magi, insomma tra la iena televisiva e il segretario di Radicali italiani, che si contendono il collegio Roma X: duecentoquarantamila elettori, una porzione di città che comprende quasi tre municipi e si estende da Trastevere alla Gianicolense, dal Trullo al Raccordo anulare. E ci sono da un lato la passione e la militanza, la pignoleria che talvolta sfiora la saccenza, la politica dei seminatori di dubbi, degli eretici, della critica e delle incertezze, che si misura con la politica dell’invettiva e degli zero titoli, con la televisione pulp fatta di sbranamenti e calci in bocca, eccitazione con il forcone in mano.

 

E allora Magi era in Consiglio comunale, a Roma, quando denunciava, ancora prima delle inchieste giudiziarie, gli sprechi e le malversazioni, gli sperperi di denaro pubblico nella gestione dei campi rom e dei centri d’accoglienza per i migranti, e spesso, a intervistarlo, dall’altro lato della telecamera, c’era Giarrusso, la Iena di Italia Uno. La moralità pignola e il moralismo sbrigliato.

 

E moralismo e morale sono evidentemente parenti, appartengono ovviamente alla stessa radice e alla stessa area semantica, solo che il primo è ideologismo eccessivo e grottesco: è morale andata a male. Così Magi studiava e rompeva le scatole, s’infilava come una scheggia di legno sotto l’unghia del Pd romano e del centrodestra che fu di Alemanno, e tanto più interrogava e s’interrogava, tanto più leggeva e andava in giro con cartelloni al collo e megafoni sulle labbra, tanto più veniva ignorato dall’informazione televisiva e da quegli spettacoli horror, composti di urla e pernacchie, che vanno sotto il nome di talk-show.

 

E infatti, quando scoppiò mafia capitale, nel giorno degli arresti, quando in Campidoglio bisognava rieleggere l’ufficio di presidenza, andò in scena un teatro paradossale, un ribaltamento delle cose, dei pesi, delle misure, della logica persino: ecco i cinque stelle invadere l’Aula, ecco Alessandro Di Battista e Roberta Lombardi, i parlamentari e i senatori grillini, a urlare “onestà onestà”, in faccia a Riccardo Magi che stupefatto, sovrastato dalle urla, in un video facilmente ritrovabile su internet si avvicina a Di Battista, che ha occhi invasati: “Scusa, ma lo sai chi hai davanti? Io sono quello che ha fatto le denunce”. Ed era già evidente l’avanzare di un mondo libero dalle mille riserve e dai dubbi che l’onestà, la decenza e magari la buona educazione impongono alle azioni di molti altri uomini.

 

E così adesso, questa sfida elettorale, tra i Radicali della lista +Europa e il Movimento cinque stelle, questa elezione che si gioca in due municipi romani governati dai grillini, assume quasi, a volerla ben guardare, un significato generale, diventa paradigma e metafora di un’epoca. E non solo perché chiude un cerchio, ma perché è il conflitto tra due modi simili eppure opposti d’interpretare la politica e la passione civile. Da un lato Magi, che come tutti i radicali soffre di febbre lessicale ma lavora ai margini della ribalta pubblica, dall’altro Giarrusso, l’ex attore diventato noto per i servizi sulle sue ex colleghe attrici presuntamente molestate, balzato sotto i riflettori per quella serie di interventi televisivi con i quali “Le Iene” hanno costruito una violentissima gogna mediatica e un processo di piazza al regista Fausto Brizzi, un disegno rozzo ma capace di trasformare sospetti e grossolani pregiudizi in strumenti di pubblica tortura.

 

Da una parte dunque l’estremismo quasi mistico dei rancorosi, l’indignazione che diventa abitudine, cappio, stato d’animo congenito, pericolosissimo senso comune, e dall’altra il contravveleno che porta invece la filosofia dei diritti individuali e quella dei diritti umani, la politica come rischio e come odissea, come eccesso intelligente, tutto quel radicalismo sociale che il Movimento cinque stelle getta via con il livore e con il vaffa, e che invece sarebbe la giusta punizione della politica quando diventata affarismo e clientelismo, insomma la deriva finale della partitocrazia che Pannella denunciava già quarant’anni fa.

 

E da circa due anni Magi studia l’Atac, l’azienda dei trasporti ingolfata e affondata dalle assunzioni e dalla mala gestione, gravata da un debito miliardario e in stato prefallimentare. I Radicali con i loro banchetti, con la loro follia testarda, hanno raccolto trentatremila firme, sotto il sole e sotto la pioggia. Tra gli sbadigli del Pd e i fischi di Virginia Raggi, hanno ottenuto che a giugno si tenga un referendum comunale per far decidere ai romani su  come vogliono che venga gestito il servizio dei trasporti.  Ma in televisione, in prima serata, su La7, da Lilli Gruber, da Formigli e da Floris, chi c’era? A parlare anche di Atac, di cui deve aver appreso l’esistenza l’altro ieri? Giarrusso, ovviamente, lui che questa sfida elettorale, in un collegio incline al voto grillino, molto probabilmente la vincerà. E d’altra parte chi lo conosce il Radicale rompiscatole, capace di citare a memoria commi e regolamenti? L’altro, la iena, se lo porta dietro Di Maio in ogni occasione, ed è spigliato in tivù: fiero il cipiglio, marcato il profilo, studiato l’approccio, anche quando si autodefinisce “una personalità di altissimo livello”.

 

E davvero si capisce che questa tra il Radicale e il grillino è una sfida di fine epoca, riassume in sé tutti i cortocircuiti, le suppurazioni e le insensatezze della politica: la spettacolarizzazione e il tracollo dei codici condivisi, il conflitto tra la competenza e la vanità, tra la moralità e il moralismo, tra due diverse animalità politiche che non possono mai incontrarsi e sono destinate a sorti opposte. Il 4 marzo, nel collegio Roma 10, non si votano solo due uomini, ma due modelli, due ipotesi di un’Italia possibile.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.