Luigi Di Maio (foto LaPresse)

Alle parlamentarie del M5s la carica dei candidati con una sola preferenza

Paolo Emilio Russo

Non solo Luigi Di Maio (che non va oltre i 490 voti). I risultati della consultazione grillina mettono in evidenza una pattuglia di aspiranti parlamentari che si è fermata a quota “un voto”. Il proprio 

Le vittime del vizio solitario, i candidati alle “parlamentarie” del Movimento 5 stelle che hanno incassato un solo voto - il loro -, sono 871. Non si può dire che siano quattro gatti. Gente che non difetta certo di autostima, ma che evidentemente non è riuscita a convincere nemmeno uno tra i compagni di partito incrociati su forum e blog. Per crederci ci credono, soprattutto credono in se stessi ma, al di fuori del rapporto con il loro pc, non sembrano certo dimostrare una grande capacità di sintonizzarsi col resto dell’umanità.

 

I risultati resi pubblici sabato sera non solo ridimensionano le basi della leadership dei vertici (le 490 preferenze di Luigi Di Maio e le 315 di Roberto Fico la dicono tutta), ma rivelano anche che dietro di loro c’è un esercito di soldati disorganizzati e con scarsissime relazioni sociali. In genere, chi si è preso la briga di leggere i risultati delle “parlamentarie” si è fermato alle parti alte delle classifiche, notando che c’è chi - in Lombardia, per esempio - ha conquistato un posto blindato con quaranta preferenze sulla piattaforma Rousseau.

 

Pochi hanno notato invece le centinaia di nomi accanto ai quali, nella colonna delle preferenze, campeggia tristemente il numero 1. Gente che ha sperimentato sulla sua pelle la solitudine dei numeri primi: autocandidati e autovotati. Certo è dura per chi, come tale Francesco Giaccardi, correva per conquistare un posto da aspirante deputato nella circoscrizione Africa-Asia-Oceania e Antartide. Lì il fail si può spiegare anche con la geografia, con la distrazione dei maori e con l’assenza degli eschimesi, presenti invece all’altro Polo.

 

Ma che dire degli ottantuno candidati per un posto da senatore Cinquestelle in Campania - regione in cui la densità abitativa è superiore alla media mondiale -, possibile che non abbiano trovato almeno un famigliare o un vicino di casa disposto a supportare la loro ambizione? Sarebbe stato sufficiente parlarsi e mettere su una micro-cordata: io voto te, tu voti me, dal momento che si potevano esprimere fino a tre preferenze. Invece niente. Nel Lazio di Virginia Raggi, di Roberta Lombardi e delle “reginette” delle preferenze Paola Taverna e Carla Ruocco (2136 la prima, 1691 la seconda), l’anomalia più evidente: qui, dei candidati che hanno superato il “filtro” di qualità di Luigi Di Maio e del suo team, quelli che hanno chiuso la “partita” in solitudine sono ben 207. Centotrentacinque invece quelli che hanno ricevuto due preferenze: voto di scambio? Almeno non si sono classificati ultimi come gli altri.

 

Guardando i dati si scopre che i candidati “autoreggenti” sono più numerosi per il Senato che per la Camera, il che lascerebbe supporre che il flop abbia riguardato in media i più anziani, e sono presenti soprattutto nelle grandi regioni. L’area in cui i grillini dal click solitario sono di meno è l’Emilia Romagna. Qui, tra i concorrenti per un posto da candidato alla Camera dei deputati, soltanto uno è rimasto col suo (solo) mouse in mano. In Piemonte, nella sola circoscrizione 1, quella che comprende Torino, gli aspiranti senatori Cinquestelle rimasti al palo sono invece 21. Nella Sicilia di Giancarlo Cancelleri, nel laboratorio che doveva essere e non è stato, a chiudere la classifica dove svetta Michele Giarrusso con 612 voti, ci sono 77 aspiranti senatori rimasti al palo. Sette “1” anche tra gli aspiranti senatori in Friuli Venezia Giulia; tra loro anche un esponente storico del M5s, Franco Dreolin, l’esercente di Muggia assurto a una certa notorietà per avere scambiato messaggi con Gianroberto Casaleggio.

 

Che i candidati non fossero proprio degli acchiappavoti lo dimostrano anche i numeri comunicati dal Movimento sul blog ufficiale, da cui si viene a sapere che su un totale di circa 140 mila iscritti i votanti sono stati 39.991 per la Camera e 38.878 per il Senato. I primi hanno espresso un totale di 92.870 preferenze, i secondi 86.175. Insomma dei tre nomi che avrebbe potuto indicare, in media, ciascun iscritto ne ha scelti al massimo due.