Piazza Montecitorio, volantinaggio del Movimento 5 stelle (foto LaPresse)

I ragazzi di Grillo dovevano cambiare il mondo, ma è stato il mondo a cambiare loro

Salvatore Merlo

Dietrofront su tutto. Dalle apparizioni in tv al doppio mandato, dalla giustizia alle alleanze con i “morti viventi”. Intanto il movimento è come una pentola che ribolle

Non esiste delizia più sottilmente equivoca di assistere alla fine di un mito. Si assordavano tra insulti e richiami, scontrini e rendicontazioni, espulsioni e dissidenze, lacrime e delazioni, divieti ad andare in tivù e proclami di purezza. “Mai più di due mandati”, dicevano. “La politica non è mica una professione”, aggiungevano. E tracciando linee perfettamente dritte in un mondo tendente al tortuoso e all’obliquo, spiegavano che la politica per loro era “mai alleanze con nessuno”. E allora aveva voglia Pier Luigi Bersani, il povero Bersani, a insistere in quel famoso streaming, con Roberta Lombardi e Vito Crimi, che incarnavano i profili veri e risoluti degli incorruttibili: “No, lei forse non ha capito…”, gli dicevano. E a quei tempi c’era Luigi Di Maio a spiegare che “la regola è molto semplice, da noi gli indagati non si candidano”, anzi si espellono, si cacciano, come Federico Pizzarotti. E guai a farsi intervistare dai giornalisti che sono “mantenuti, pennivendoli, infestatori e ovviamente coglioni”. Pene severissime per chi va “a cercare il punto G, quello che dà l’orgasmo nei salotti del talk-show”, disse Grillo, mentre mandava i suoi impiegati a cacciare Federica Salsi, la consigliera comunale di Bologna che era andata a “Ballarò”.

   

  

E insomma cinque anni fa, quando nel 2013 iniziò questa legislatura che tra pochi giorni sarà sciolta dal presidente della Repubblica, i ragazzi del Cinque stelle dovevano cambiare il mondo. Si presentavano con un’aria sempliciotta di gioventù e di inesperienza, con i capelli improbabili e i vestiti comprati a peso all’Oviesse, un’estetica che sembrava fatta apposta per essere perdonata. Ma l’hanno persa, quell’aria. Come tutto il resto. E alla fine è stato il mondo a cambiare loro, ad aprirli come una scatoletta di tonno. Denunziavano la presunzione d’innocenza come un gargarismo del colpevole, e adesso, cinque anni dopo, gargarizzano come l’avvocato Ghedini con Berlusconi: “La procura non può utilizzare uno strumento così, come un manganello. Luigi, ci ammazzano tutti”, ha scritto Virginia Raggi in una famosa chat con Di Maio, lei, la sindaca di Roma indagata con richiesta di rinvio a giudizio. Ed è certo significativo che mentre nel 2013 spernacchiavano Bersani, adesso, in poco meno di un paio di mesi, e con indifferente pendolarità, siano stati a corteggiamento con Matteo Salvini e con Pietro Grasso, i due capi partito che Grillo chiamava “morti viventi”.

  

Ora invece c’è Di Maio che dice: “La sera delle elezioni faremo un appello a tutte le forze politiche per metterci insieme sui temi”. Ed è ovvio che l’apertura politica e il corteggiamento elettorale non sono il sintomo di un’intelligenza tattica e neppure di una spregiudicatezza lungimirante. Più semplicemente sono un’ammissione di debolezza, perché “quando si sentono forti, quelli menano e quando invece si sentono in pericolo…”. Sempre cauti nella vita e poeticamente sguaiati sulle scene. Sono lontani ben cinque anni i tempi in cui il povero senatore Marino Mastrangeli, che adorava Barbara D’Urso e non riusciva a farne a meno, veniva mandato via a pedate perché era stato a Canale 5. Oggi esiste persino una pagina Facebook con qualche migliaio d’iscritti che si chiama “M5s in tv”.

 

 

Non c’è salotto della mattina, del pomeriggio e della sera che non ospiti un grillino, più o meno famoso. “La regola è semplice: Mai un terzo mandato”, ha detto Di Maio. Intanto il movimento è come una pentola che ribolle, tra gli eletti non si parla d’altro che di rielezione, di secondi e terzi mandati. A Roma i consiglieri comunali si riuniscono e rumoreggiano, minacciano un documento, una rivolta. Il sindaco di Pomezia si ricandida per la terza volta, e dice: “La regola cadrà appena riguarderà Di Maio. Vedrete. L’esperienza conta. Serve”. E ancora una volta si capisce che tutto è ritrattabile e smentibile. La ferocia della purezza si è stinta, è stata battuta, contaminata dalla realtà. E cinque anni dopo i ragazzi del 2013 sono irriconoscibili.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.