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La querela come arma politica. Così Di Maio & co. spadroneggiano

Valerio Valentini

Chinano la testa di fronte a Borrè, minacciano i dissidenti attraverso "Er Pomata". L'ipocrisia del M5s sulla diffamazione

“Forti coi deboli e deboli coi forti”: i grillini l’hanno urlata mille volte, quest’accusa. Contro le banche, la giustizia, “Renzie l’ebetino”, almeno tre presidenti del Consiglio. E forse sarà che a star vicino agli esponenti della casta, un po’ casta alla fine si diventa, sta di fatto che anche i rappresentanti di M5s dimostrano questa assai poco nobile propensione. Fare i bulli con chi non può difendersi, e abbassare la testa di fronte a chi fa paura.

 

Caso emblematico: quello delle querele. E, più in generale, della lotta politica attraverso baruffe da avvocati.

 

Lunedì sera, sulle bacheche Facebook di Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista, sono apparsi, quasi in simultanea, due post. Identici e criptici: “La competenza professionale di chi ha redatto il ricorso per le regionarie siciliane è fuor di discussione”. Poco prima, Lorenzo Borrè – il legale che assiste tanti fuorisciti e dissidenti pentastellati in giro per l’Italia – aveva annunciato sullo stesso social network: “Inizia il conto alla rovescia per le scuse pubbliche. Restate in rete. Poi capirete. 24 ore”. Un ultimatum, insomma. Al quale i due dioscuri del grillismo si sono piegati docilmente. Erano stati loro, del resto, insieme al candidato governatore Giancarlo Cancelleri, a parlare di un “ricorso da azzeccagarbugli” a proposito del procedimento, curato proprio da Borrè, che aveva portato alla sospensione delle primarie online sull’isola (a proposito: l’iter giudiziario va a rilento: i legali del Movimento, quello che chiede l’abolizione della prescrizione per evitare lungaggini strumentali, nell’ultima udienza del 27 ottobre hanno chiesto un rinvio che farà slittare la sentenza a dopo le elezioni). Borrè non aveva gradito quell’ingiuria, e aveva fatto sapere ai tre pentastellati di esigere delle scuse. Loro hanno cercato in ogni modo di prendere tempo, con lo scopo di superare indenni il 5 novembre, ma a quel punto Borrè ha posto un termine esatto: il 31 ottobre. E alla vigilia della scadenza, Di Maio e Di Battista hanno ritrattato. Cancelleri ci ha messo qualche ora in più, pubblicando poi il post - pure quello ricalcato parola su parola sulle richieste dello stesso Borrè - nella tarda serata di martedì. Scongiurando in extremis, così, il  rischio di una querela per diffamazione. Il reato, cioè, che il M5s proponeva di depenalizzare. O meglio: a essere rigorosi, bisognerebbe dire che Grillo invocava la depenalizzazione della “querela per diffamazione”: il che è un nonsense giuridico, ma in fondo nel calderone del blog ne sono comparsi di peggiori, quindi si può sorvolare. Ciò che invece non può essere ignorato è il fatto che a ricorrere sempre più spesso alla querela per diffamazione sono proprio i notabili di M5s. Che lo fanno quasi sempre per zittire il dissenso interno, per intimidire i dissidenti che azzardano una critica.

 

La senatrice Elena Fattori del “querela et impera” ha fatto una strategia collaudata per mantenere il controllo sul suo feudo elettorale in provincia di Roma. Ma non è certo la sola. Alice Salvatore, ad esempio, capogruppo M5s nel Consiglio regionale ligure e vicinissima a Davide Casaleggio, ha addirittura un avvocato di fiducia. “Si chiama Daniele Pomata, ed è a lui che l’ancella di Grillo chiede di inviare lettere di diffida o querela contro gli iscritti che magari fanno un tweet polemico”, racconta Fernando Borneto, attivista genovese querelato dalla Salvatore per un post su Facebook. Stessa sorte toccata a Fabio Vistori, consigliere comunale di La Spezia: “Querelato per un articolo satirico sul mio blog. Dalla Salvatore, certo: la quale poi suggeriva ai militanti di andare a controllare il mio casellario giudiziale per chiedere la mia decadenza”. Francesco Battistini, consigliere regionale M5s in Liguria, è stato invece lui a querelare un paio di attivisti vicini alla Salvatore. “Mi avevano dato del mafioso, e in loro difesa è sceso, immancabile, proprio ‘il Pomata’. Una strana coincidenza, no?”. E’ una lotta impari quella che i big del M5s ingaggiano contro gli attivisti. Se non altro, perché le spese legali per questi ultimi sono spesso proibitive. Per la Salvatore e i suoi colleghi parlamentari, invece, è tutto più semplice: loro gli avvocati se li pagano quasi sempre con i soldi pubblici, quelli che coprono i loro rimborsi spese. Una vergogna, avrebbero sbraitato i grillini qualche tempo fa. Quando rinfacciavano, agli altri, di essere deboli coi forti e forti con i deboli.

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