Silvio Berlusconi e Matteo Salvini (foto LaPresse)

Il dilemma (senza soluzione) di Berlusconi e Salvini

Roberto Arditti

Il fattore che complica il futuro del centrodestra è il tempo. Silvio ha bisogno di ottenere la sua rivincita alle prossime elezioni, Matteo punta sulla tornata successiva

A Milano non si parla d'altro. Più i sondaggi danno il centro-destra in vantaggio e più cresce l'inquietudine nei dirigenti politici più esperti, tanto in Forza Italia quanto nella Lega. La coalizione infatti è forte nelle urne ma assai fragile politicamente, anche perché prendere Palazzo Chigi non è la stessa cosa che governare le regioni, comprese quelle importanti.

 

Questo è il tema di molte conversazioni in corso in queste settimane che hanno in Milano il luogo di svolgimento preferito per evitare i soliti ristoranti romani, dove persino le posate riferiscono tutto quello che ascoltano. Il fattore che rende molto complicate le cose è sostanzialmente uno (ma nessuno è disposto a dirlo pubblicamente): il tempo.

Già, perché l'idea di "tempo politico" del Cavaliere non coincide con quella di Salvini e per trovare una mediazione occorrono ampie cessioni di sovranità dall'una o dall'altra parte (o più probabilmente da tutte e due le parti).

 

Per Berlusconi la primavera del 2018 è il momento della grande rivincita. Solo contro tutti (politici, giudici, giornalisti) per molti anni (2011-2016) il Cavaliere vuole tornare al governo in posizione dominante, pur sapendo che non potrà essere lui il Primo Ministro. Il governo prossimo futuro avrà cioè nel Cavaliere l'ispiratore e la "guida suprema", anche per fare giustizia di molte posizioni che nel passato lo hanno visto sconfitto (dalla Libia alle tasse, dagli investimenti in infrastrutture per il Sud alla giustizia). Quindi l'idea di "tempo politico" del Cav è giocoforza stretta, breve: governare da subito con la coalizione possibile, a seconda di come usciranno i risultati dalla urne.

Non è tanto un tema di chi fa il capo del governo, questo si vedrà. È essenzialmente un tema di non perdere il "giro", per due motivi essenziali. Il primo è che la sinistra è debole è divisa. Il secondo è che adesso si gioca la grande partita Vivendi-Telecom-Mediaset. E non c'è bisogno di aggiungere altro.

 

Per Salvini le cose stanno esattamente all'opposto. Il suo "tempo politico" è medio-lungo, proprio per questo ha voluto la trasformazione della Lega in movimento nazionale. A lui serve raccogliere un successo a questa tornata del 2018 (non è vero che non gli piace la legge elettorale proporzionale, è esattamente quella che vuole) per poi mettersi in posizione di attesa possibilmente all'opposizione di un governo Renzi-Berlusconi (che il Cav alla fine accetterebbe, anche se lo negherà fino al lunedì dopo le elezioni).

Salvini vuole evitare con tutte le sue forze di finire dentro un governo che ha in Berlusconi il dominus della situazione, anche se potrebbe essere lusingato dalla poltrona di ministro dell'Interno, da cui ribaltare la politica nazionale sull'immigrazione (ipotesi più teorica che pratica, come dimostra l'esito della legge Bossi-Fini). Anche perché la dimensione nazionale della Lega ha senso solo se proiettata nella sfida di essere il Partito Unico di centro-destra, una volta che il Cavaliere avrà deciso che è tempo di usare di più le sue ville al mare. Anche perché solo così si giustifica la consegna all'oblio di quello che fu il tema originale della Lega (Nord, una volta), cioè difendere gli interessi delle regioni padane contro Roma padrona e ladrona.

 

Salvini "uccide" Bossi (un classico delle successioni nelle vicende politiche) non solo e non tanto perché lo batte al congresso, ma perché ne strangola l'opzione politica principale, aprendo una nuova fase in cui nulla è come prima, avviando  la stagione della Lega come forza egemone, trainante, vincente di tutta la coalizione. Per arrivare, in prospettiva, a riassumere tutto in un partito unico con unico leader (ecco perché la Meloni scalpita). È quindi evidente che la partita vera di Salvini non è a queste elezioni bensì alla tornata successiva. Ma per arrivarci tonico lui sa benissimo che non può farsi imbrigliare in un governo di cui, peraltro, non avrebbe la guida. Il dilemma è tutto qui. E per ora non trova soluzione.