Il ministro Maurizio Martina (foto LaPresse)

"No al tedesco. Al voto con una lista con Calenda e Pisapia"

Marianna Rizzini

La distanza con Grillo, la legge elettorale, il caso Fincantieri. Parla Martina, ministro e vicesegretario Pd

Roma. C’è grande crisi a Roma, nella giunta Raggi, ma il ministro per le Politiche Agricole Maurizio Martina, anche vicesegretario del Pd, Roma non la commissarierebbe, pensiero che pure non pare peregrino a molti cittadini ed esponenti politici. Però, pensando a Roma dopo aver visto Milano durante l’Expo, Martina dice che nella capitale, prima ancora delle scelte amministrative, il problema è “l’atteggiamento di chi la governa. Roma meriterebbe uno stile diverso, un sindaco che si carichi della propria responsabilità, una squadra all’altezza. L’attuale sindaco e la sua maggioranza sono stati votati per governare. Lo stanno facendo? Dovrebbero chiederselo. Se non si è in grado di governare, se ne traggano le conseguenze. Governare Roma non può voler dire tirare a campare . Lo si è visto sulla vicenda Olimpiadi, con Parigi e Los Angeles che hanno raggiunto un accordo, dopo essersi combattute – e dopo la rinuncia di Roma – e lo si vede nel caso di Milano che si è candidata a ospitare l’Agenzia europea del farmaco. Per lo sviluppo del paese, è essenziale lo sviluppo delle grandi aree metropolitane. In Italia possono svolgere questo ruolo Roma, Milano e Napoli. Roma è, per così dire, non pervenuta”. Di Roma il Pd dovrà parlare: è uno dei campi sui cui si giocherà la prossima campagna elettorale. Poi c’è il tema delle “regole” (legge elettorale) e quell’idea, riemersa trasversalmente, di riaprire la discussione sul cosiddetto “modello tedesco”.

 

Ma Martina, da vicesegretario del partito, spera che “la pausa estiva venga utilizzata per riflettere sul fatto che noi ora non dobbiamo lavorare solo sul lato dello strumento – la legge elettorale – ma prima di tutto direi dal lato del progetto. Siamo disposti a ragionare su alcuni temi – il tema della governabilità in primis. Ma il vero punto è a monte: il ragionamento che dobbiamo fare, cioè, è quello che coinvolge tutti i riformisti sul contenuto della prossima sfida: per essere alternativi alla destra e ai Cinque Stelle si deve partire dalla ragione di fondo della nostra progettualità per l’Italia. Questi anni sono stati anni di durissima crisi e di sacrifici. Il Pd, prima di tutto per responsabilità di governo, si è caricato il peso di scelte anche impopolari. E mi pare che l’Italia, nella crisi, il passo l’abbia tenuto”. Oggi si è aperta una nuova partita anche in Europa. La Francia ha un nuovo presidente, la Germania andrà al voto, l’economia è ripartita. L’Italia che ruolo vuole avere? E chi può interpretare meglio il suo nuovo ruolo? “Questo appunto è il primo tema che devono discutere I riformisti, un tema su cui I punti di contatto non mancano. Mi spaventa, in questo quadro di Europa rinnovata, uno scenario che veda la destra salviniana o i Cinque Stelle primeggiare. MI preoccupa più questo della legge elettorale”.

 

Martina fa quindi un appello al centrosinistra: “Anche nel quadro della legge elettorale data, è prioritario investire su un progetto aperto. Il Pd oggi è la prima diga di fronte all’avanzare dei Cinque Stelle e della destra. E’ un partito con una leadership forte, sancita con primarie a cui hanno partecipato più di due milioni di persone. Ed è IL punto fermo da cui partire per costruire l’unica alternativa di governo pensabile rispetto alla destra e al M5s. Ma questo dato è come non fosse stato ancora acquisito in tutto il centrosinistra. La logica dovrebbe essere cooperativa, non competitiva. Mi si dica se è possibile, diversamente, costruire un’alternativa credibile. Poi, prendendo come baricentro il Pd, si può costruire uno schema plurale, e mi auguro che lungo questo percorso si riescano a coinvolgere personalità come Giuliano Pisapia, E anche come Carlo Calenda”.

 

C’è però chi vorrebbe andare senza Pd. E chi, nel Pd, vorrebbe andare senza gli altri. Martina dice che “Il Pd avrà un progetto aperto e aggregante, discutiamo nel merito, parliamo del lavoro, del sociale, dell’Europa, della povertà, delle pensioni, ma non demolendo l’idea stessa da cui non si può prescindere: e cioè che senza il Pd non si possono sfidare destra e Cinque Stelle. Pensiamoci in prospettiva”. Tuttavia c’è – ci sarebbe – anche un problema di coalizioni, visto che il Pd e il partito dei fuoriusciti bersanian-dalemiani, Mdp, si trovano spesso, in Parlamento, a votare su sponde opposte, tanto da far pensare che il dibattito stesso sulle “coalizioni” fosse tutto sommato inutile. “Dobbiamo chiarire appunto la natura del nostro progetto”, dice Martina. “Altrimenti nessuna regola elettorale potrà mai risolvere il tema politico. Faccio appello a chi vuole lavorare con il Pd anche nell’ottica della governabilità. Sciogliamo questo nodo: come si fa a parlare di coalizione e poi dare addosso al Pd un giorno sì e uno no? Non si può coltivare l’illusione, chiamiamola così, di lavorare in qualche modo con il Pd senza riconoscerne la leadership e la funzione. Nel quadro delle scelte per il futuro dico che bisogna impostare un’agenda sociale radicale, agire sulla questione giovanile, affrontare il problema del costo del lavoro riguardo agli under 40, il tema ‘inclusione e povertà’. Io credo che il Pd, da parte sua, lavorerà ancora con determinazione su tutto questo”.

 

Il Pd, però, non sempre è stato visto, in questi mesi, come “equidistante” da Grillo e dalla destra. “Il Pd è seccamente alternativo sia a Grillo sia alla destra. Anche per questo dico che non si può pensare di costruire l’alternativa a Grillo e alla destra a trazione salviniana senza Pd”, dice Martina, a cui ha fatto “molta impressione” l’accanimento da sinistra sull’abbraccio Boschi-Pisapia” alla festa dell’Unità di Milano: “Si è trasformato un gesto di buonsenso in uno scandalo. Ma tutto ciò rileva un’antica questione aperta in seno alla sinistra, che quando esaspera il suo settarismo e il suo farsi frazione della frazione pone le basi della sua sconfitta e prende una deriva triste e sterile”. Da dove cominciare, però, per “lavorare sul progetto”? “Intanto c’è la Conferenza programmatica pd di ottobre, in cui si dovrà rendere chiaro il senso di marcia dei prossimi anni per l’Italia. E anche se non abbiamo tutte le risposte, siamo sicuri di una cosa: la sinistra non può vivere guardandosi indietro”. E sul piano europeo, dove negli ultimi giorni il governo Gentiloni si è trovato alle prese con una Francia muscolare su Fincantieri? “Il governo ha reagito come doveva, abbiamo buoni argomenti e li spenderemo al meglio così come stiamo facendo sui fronti caldi come l’immigrazione. Guardi, questa poteva essere una legislatura a vuoto dopo gli esiti del 2013. Invece il Pd ha tenuto la barra dritta. Questo lavoro, a me sembra, ha prodotto un valore, che andrebbe riconosciuto da tutti i riformisti. E questo viene prima delle discussioni sulla leadership. Non è sufficiente? Allora confrontiamoci su come rilanciare, su come indicare la nuova direzione direzione di marcia, la prospettiva. Nel cuore dell’Europa e del Mediterraneo. A noi tocca questa responsabilità”.

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.