La nostra Carta segreta

L’Italia torna proporzionale ma, dice Cassese, non tornerà indietro grazie a un privilegio chiamato Europa

Professor Cassese, negli ultimi venti anni, l’Italia ha avuto tre diverse leggi elettorali, Mattarella, Calderoli, Renzi (volgarmente Mattarellum, Porcellum, Italicum) e andrà a votare l’anno prossimo con un fritto misto di leggi (la Calderoli corretta dalla Corte costituzionale e la Renzi anch’essa corretta dalla Corte costituzionale). Il fritto misto ci riporta al punto di partenza, cioè al proporzionale (con soglie di accesso diverse e un premio irraggiungibile), che i migliori costituenti volevano abbandonare subito dopo le prime elezioni e che è invece durato mezzo secolo (1946-1996). Vogliamo fare il punto sulla nostra Costituzione?

Per rispondere a questa domanda, bisogna distinguere, come è prassi tra i giuristi italiani, tra Costituzione formale e Costituzione materiale. La prima è quella del 1948, scritta e votata dall’Assemblea costituente. La seconda è quella che si è andata evolvendo nei fatti, la “living constitution”. La prima, salvo la modifica del 2001, relativa alle regioni, è rimasta immutata (e lo rimarrà), la seconda è interamente cambiata.

  

Dove e perché?

“C’era una volta” (come all’inizio delle fiabe) la partitocrazia. L’Italia era divisa da fossati ideologici. Opposti eserciti si fronteggiavano, chiamati partiti, con organizzazioni capillari, potenti vertici, estenuanti riunioni di comitati centrali, consigli nazionali e organismi similari, congressi nei quali si discuteva su relazioni sesquipedali di segretari nazionali, negoziati lunghissimi tra i partiti per la formazione dei governi. Ora i partiti sono movimenti, non forme organizzative, si sono sgretolati, sono diventati “piedistalli” (l’ha osservato Violante).

   

Ma l’Italia è una Repubblica parlamentare e lei comincia dai partiti.

Abbia pazienza. Ci arrivo. Il Parlamento registrava le soluzioni adottate, ma era anche un organo – come si diceva allora – consociativo. Ci si accordava con concessioni reciproche, compromessi. I giochi per il governo si facevano nei negoziati extraparlamentari e in Parlamento. Ora tutti vogliono sapere quale sarà il governo la sera stessa delle elezioni. Cioè, nella mente della classe politica, nelle sue aspettative, la Repubblica italiana non è più parlamentare, ma quasi presidenziale. Se il risultato (il governo) lo si vuole la sera stessa delle elezioni, il Parlamento è inutile, al fine della formazione del governo, serve solo a ratificare. Ma è cambiata la percezione, sono cambiate le aspettative, non è cambiata la Costituzione formale. Ciò provoca inevitabili tensioni.

  

Tutto qui? Era solo questa la Costituzione materiale su cui si reggeva lo Stato nei primi cinquant’anni?

Non sia precipitoso. C’erano una volta anche i sindacati. Anche con loro e tra loro si negoziava. A Palazzo Chigi, a un certo punto, venne anche allestita una apposita sala che potesse contenere centinaia di rappresentanti sindacali, fronteggiati da decine di ministri. I sindacati negoziavano e scioperavano, contrattavano nel Palazzo e protestavano nella Piazza.

  

E il governo?

C’era una volta anche il governo, ma questo durava mediamente poco più della gestazione di un bambino, tanto che c’era un continuo valzer di poltrone, il ministro dell’Agricoltura stava qualche tempo, lasciava, passava al Tesoro, restava fermo uno o due giri, veniva ripreso all’Istruzione, e così via.

  

Insomma, il non-governo.

Sbagliato! Perché c’erano due grandi forze che supplivano a questi continui giri di valzer: la continuità di un partito sempre al governo, la Democrazia cristiana, e la continuità dell’alta burocrazia. Gli americani, nutriti dalle letture di Schumpeter e dall’esperienza della democrazia dell’alternanza, definivano quella italiana, come quella giapponese, “uncommon democracy”.

  

E l’alta burocrazia?

Lì c’era un patto non scritto, fondato sullo scambio carriera – potere. La classe politica non metteva le mani nella carriera degli amministratori pubblici, questi lasciavano che la classe politica prendesse tutte le altre decisioni, secondo un modello opposto a quello illustrato nel Regno Unito da un libro e da una serie televisiva intitolati “Yes, Minister” (ironico, perché, invece, nel Regno Unito era l’alta burocrazia a decidere, pur facendo finta di essere sottomessa alla direttiva politica).
Dopo la svolta della legge elettorale maggioritaria e l’inizio dello sgretolamento dei partiti, i governi hanno guadagnato maggiore durata (nonostante che vi sia stato ancora qualche governo quasi balneare),e si è realizzata una certa alternanza. In compenso, sono iniziate la lottizzazione e la precarizzazione dell’alta burocrazia, una delle forze compensative del passato.

  

Professore, finora non ha parlato della lottizzazione.

Ci arrivo: c’era una volta anche la lottizzazione (il termine fu preso dal linguaggio dell’urbanistica e portato in quello della politica da un intelligente giornalista). C’erano le partecipazioni statali e il credito, sottomessi al governo, perché ordinati in forma di società con partecipazione statale o di enti pubblici. Qui c’erano persone di prim’ordine, che lavoravano, ma anche, col passare del tempo, sempre più numerosi “protetti” da questo o quel partito. Fu questa una delle ragioni che spinse negli anni finali di questo periodo alla privatizzazione. Ora si è privatizzato al centro, pubblicizzato in periferia. Le occasioni di lottizzazione sono diminuite fuori dello Stato, aumentate nello Stato.

  

Ora le faccio le domande difficili. Ritorneremo a tutto questo, ritornando al proporzionale? O ci siamo lasciati alle spalle quella che viene chiamata Prima Repubblica (so che a lei non piace l’espressione, perché la ritiene imprecisa), anche se il futuro non sembra molto migliore? E’ un passato terminato o potrebbe tornare, anche se in altre forme, con la formula proporzionale alla quale ritorniamo?

Quel che ho provato a spiegare finora è che nel primo cinquantennio abbiamo avuto una Costituzione materiale abbastanza stabile; che essa è stata modificata a partire dallo sgretolamento di Democrazia cristiana e Partito socialista (in parte, più tardi, anche del Partito comunista); che la Costituzione formale è rimasta immutata, nonostante due tentativi, fatti da forze opposte, di modificarla. Che viviamo questa vicenda bipolare, come dimostrato da quanti, rigidi sostenitori della Repubblica parlamentare, vogliono, però, avere il governo la sera della elezioni.

  

  

  

Caro Professore, non giri intorno alla domanda: torneremo indietro?

Non sia impaziente. Rispondo che non ritorneremo indietro, anche se andremo avanti con sempre maggiori difficoltà, a causa della tensione sempre più forte tra le due costituzioni. E non andremo indietro per almeno due buoni motivi. Il primo è che una parte dei cambiamenti ci è imposta dal nostro patto europeo: siamo noi che ci siamo vincolati (quelli che protestano ogni giorno contro le “imposizioni” europee dovrebbero ricordare che siamo noi che le abbiamo volute, De Gasperi, Carli, il “vincolo esterno”). E’ una Costituzione più forte di quella nazionale, perché a guardia dei vincoli europei ci sono 500 milioni di persone, a guardia della Costituzione nazionale solo 60 milioni di cittadini. Il secondo è che ci sono ancora tante persone che ricordano gli anni ultimi del precedente assetto, l’affanno, gli squilibri (pensi soltanto che nel 1950 vi era stato il coraggio di fare la riforma agraria, mentre agli anni 90 era giunta una classe politica estenuata, priva di forza). Ci aspetta un futuro difficile, anche perché ora non c’è più il perno intorno al quale ruotava la storia italiana del primo cinquantennio repubblicano la Democrazia cristiana, e non esiste più quel silenzioso e potente contropotere che era la burocrazia, con le sue “scartoffie” polverose, ma anche col suo culto della legge e delle procedure.

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