Matteo Orfini (foto LaPresse)

Orfini ci spiega perché "Il Trono di Spade" è meglio delle coalizioni

David Allegranti

Il presidente del Pd: “Discussione surreale, non esiste e non è un tema per gli italiani”. Più nuovi ingressi che uscite

Roma. Si è appena concluso un fine settimana di duelli incrociati fra sinistra e centrosinistra (a quando un “nuovo” alterco sul trattino fra centro e sinistra?), su alleanze e dintorni. Matteo Orfini, presidente del Pd, dice al Foglio che la discussione è “surreale, non esiste e non è un tema per gli italiani, perché abbiamo una legge elettorale proporzionale che non prevede le coalizioni. Su questo ha ragione D’Alema a dire che le alleanze si fanno dopo le elezioni. Ecco, tutti noi vorremmo fare un governo di centrosinistra, ma dipende da quanto saremo forti. Logica vorrebbe che ci occupassimo, ognuno per la sua parte, del rapporto con il paese invece di chiuderci in una estenuante, divisiva e oltretutto sbagliata discussione sulla coalizione che non esiste. Tra l’altro, sta per cominciare la sesta stagione del Trono di Spade, dibattiamo più seriamente su chi si allea per sconfiggere gli Estranei…”.

 

Ci si chiede come possano Pisapia, Bersani e Pd stare insieme, ma questo, osserva Orfini, “è un problema più loro che nostro. Noi siamo il più grande partito della sinistra d’Europa, abbiamo un’identità chiara, siamo il riformismo italiano di sinistra e abbiamo fatto il Pd per condurre una battaglia che cambi l’Europa. A sinistra del Pd possono nascere altre forze politiche, come nel resto del continente. Ma nessuno in Europa chiederebbe mai al principale soggetto del centrosinistra di occuparsi di soggetti più o meno alternativi. Programmaticamente, siamo orgogliosi del lavoro fatto, anche se restano errori da correggere”. Per esempio? “La gestione di alcune riforme non sono state all’altezza, penso a quella della scuola. Dopodiché, in un paese che si è rimesso in moto, in cui l’occupazione è stata creata e la ripresa è stata consolidata, anche se deve accelerare, ci viene chiesta discontinuità. Ma se a chiedercela è chi sosteneva acriticamente il governo Letta, io faccio fatica a partecipare a una discussione di tipo”.

 

Secondo lei quindi il governo Letta non funzionava? “Lo dicono i dati, non lo dico io. E’ un governo che non ha fatto granché. Ora noi abbiamo il dovere di costruire attorno a un progetto riformista per l’Italia un partito più forte, largo inclusivo. Facciamo il ‘grande Pd’: ricominciamo a parlare con pezzi di società, di mondo della cultura, con gli intellettuali, con il mondo del lavoro. In alcuni casi abbiamo praticato un riformismo introverso, adesso dobbiamo allargarci. E’ quello che abbiamo fatto nel fine settimana a Milano. In due giorni abbiamo rinunciato a parlare noi e abbiamo fatto salire sul palco un po’ di italiani che fanno cose importanti”.

 

Insomma, il ritorno della società civile. “La retorica della società civile che andava negli anni Novanta è finita e per fortuna superata. Serve piuttosto un soggetto politico che parli con il paese. Le riforme si fanno con gli italiani, non per conto degli italiani, che vanno coinvolti. Quando noi diciamo che dobbiamo recuperare il voto dei ceti popolari o delle periferie più deboli, la risposta non può essere quella di Franceschini, che pensa di recuperarli facendo un’alleanza di ceto politico da Alfano a Pisapia. A Tor Bella Monaca non mi chiedono con chi mi alleo. Quel distacco dalla politica e dalla sinistra, peraltro, non lo recuperi semplicemente con le politiche, perché non bastano investimenti come il reddito inclusivo o l’intervento sulle periferie. C’è un pezzo di paese che si sente escluso. E a questo serve un partito, non a discutere di Pisapia e Bersani”.

 

Il ministro della Giustizia Andrea Orlando, suo ex amico, propone un referendum nel Pd sull’alleanza con Berlusconi. “Sì, il referendum lo possiamo anche fare sull’esistenza di Babbo Natale o sull’Isola che non c’è… E’ un tema che non esiste, poi possiamo sottoporre a referendum anche un gioco di società, ma è una perdita di tempo”. Esclude quindi qualsiasi alleanza con Berlusconi in futuro? “Noi siamo alternativi a Berlusconi, ma per evitare le larghe intese bisogna che il Pd prenda tanti voti. Larghe intese che peraltro abbiamo già fatto, perché il Pd era andato male alle elezioni, con Orlando ministro, Speranza capogruppo e Letta presidente del Consiglio. Se continuiamo con questa discussione surreale che appassiona quattro persone in Italia a occhio e croce vince la destra, se è unita, o Grillo”. Anche perché, come risulta evidente dalle amministrative, “ci sono pezzi di società che comunque non ci votano, come i ceti popolari o i giovani. Serve dunque una risposta non politicista, come quella sulle coalizioni, ma sul ruolo e la funzione di un partito. Se hai un partito che ti obbliga a sviluppare tutta l’attività politica attorcigliata al suo interno, è chiaro che fai fatica a conquistare pezzi di società. Un ragazzo di 20 anni, che ha passione politica, non vuole fare peacekeeping mettendo ordine, in una sezione, fra turchi, franceschiniani e renziani. Quando abbiamo organizzato l’iniziativa delle magliette gialle invece giovani hanno partecipato”.

 

Poi, dice Orfini, ci sono “temi politici di cui occuparci, come il lavoro autonomo, le partite iva e gli incentivi per prendere casa in affitto – su questi temi non abbiamo fatto abbastanza – e temi simbolici. Per esempio, stiamo per approvare una legge sulla tortura che per come è scritta è inutile. Ce l’ha detto anche l’Europa, è fatta di compromessi al ribasso. In un paese che ha avuto i casi Cucchi, Aldrovandi, Genova, ci vorrebbe maggior coraggio”. Insomma, “dobbiamo riconnetterci con questi mondi. Abbiamo fatto un lavoro mostruoso al governo, ma ci siamo dimenticati del partito e della sua funzione”. Secondo lei ci saranno altre uscite? “Credo che ci saranno più ingressi che uscite. Associazioni, personalità che arriveranno. Ci stiamo lavorando. Lo abbiamo già visto alle amministrative: c’è un mondo civico di varia natura che deve trovare nel Pd la sua casa. Ci sono tante realtà moderate e di sinistra che potrebbero venire a darci una mano per farci prendere tanti voti ed evitare accrocchi e larghe intese”.

 

E a Prodi che dice? “Che è faticoso discutere con uno che sta in una tenda. Prodi la smonti e venga a discutere a casa, per fare una discussione seria nel partito che ha fondato. Anche perché oggi si ricordano con nostalgia epoche rimuovendone però gli elementi negativi. Eppure quelle non furono stagioni straordinarie. Ci ricordiamo il tavolo dell’Unione sovraffollato, i continui ricatti a Prodi su qualunque questione, i trotzkisti che condizionavano la maggioranza di governo. Quindi quando oggi, rifacendosi a quelle stagioni, si parla di coalizioni e maggioritario, io mi preoccupo. Noi siamo orgogliosi di quella storia – è grazie all’Ulivo che c’è il Pd – ma a distanza di decenni possiamo riconoscerne oltre ai meriti anche i limiti. La precarizzazione della vita di tanti giovani iniziò lì, perché creammo flessibilità, ed era giusto farlo, ma non adeguammo il welfare. Un pezzo dei problemi e delle fatiche di oggi nascono dalla precarizzazione di quegli anni. Attenzione a evocare il passato, pensiamo al futuro. Senza mitizzare nulla. Prodi torni a casa. Abbiamo bisogno di lui, per noi è come un padre. E con i padri spesso si discute, a volte si litiga, ma non si smette mai di volersi bene”.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.