La USS Porter, al largo del Mediterraneo, lancia uno dei missili diretti in Siria U.S. (Fonte: Navy photo by Mass Communication Specialist 3rd Class Robert S. Price)

Trump bombarda Assad. E' una svolta o un avvertimento?

Nella notte due navi americane lanciano 59 missili contro la base siriana da dove martedì sono partiti i caccia che hanno sganciato armi chimiche sui civili nell’area di Idlib. Poi, dalla Florida, il presidente americano dice al rais di Damasco: “Ha soffocato vittime indifese”

New York. Attorno alle 2.40 di questa mattina l’esercito americano ha bombardato la base di Shayrat, in Siria, da dove martedì sono partiti i caccia che hanno sganciato armi chimiche sui civili nell’area di Idlib. Con un repentino cambio di toni nei confronti del regime di Bashar el Assad, Donald Trump e gli uomini dell’Amministrazione avevano detto che l’America era pronta a reagire all’orribile attacco con il sarin, e la reazione è arrivata tempestivamente sotto forma di 59 missili Tomahawk lanciati da due navi da guerra nel Mediterraneo. Dalla villa di Mar-a-Lago, dove era a cena con il presidente cinese Xi Jinping, Trump ha condannato con toni duri la condotta di Assad, che “ha soffocato vittime indifese” conducendo “a una morte lenta e brutale” anche molti bambini. “Nessun figlio di Dio dovrebbe mai soffrire questo orrore”, ha detto il presidente, pescando le parole da un vocabolario dell’empatia e dell’oltraggio morale che di rado ha estratto dallo scaffale.

 

 

 

Trump ha invitato “tutte le nazioni civilizzate a unirsi a noi per mettere fine alla carneficina in Siria” e ha concluso con una frase in diretto contrasto con tutti i precetti dell’America First: “Se l’America sta dalla parte della giustizia, alla fine pace e armonia prevarranno”. La retorica da svolta interventista, accompagnata dal plauso bipartisan dei falchi, da Chuck Schumer alla coppia John McCain-Lindsey Graham, non deve confondere sull’entità e lo scopo di quella che l’Amministrazione si è premurata di descrivere come una rappresaglia circoscritta, non come il preludio di un regime change. L’aggettivo “proporzionato” è quello che ricorre di più nella serie di briefing e dichiarazioni che si sono accavallati dopo l’annuncio dello strike. Tutte qualificano la manovra come una risposta alla violazione dell’accordo sullo smaltimento delle armi chimiche del 2013.

 

Trump ha scelto la più leggera fra le opzioni militari presentate ieri dal capo del Pentagono, Jim Mattis, che ha avuto un ruolo cruciale nel trasformare il clamoroso testacoda della Casa Bianca sulla Siria in un’azione concreta. L’attacco è durato pochi minuti, i missili hanno danneggiato le due piste d’atterraggio della base dell’aviazione siriana e hanno colpito hangar, depositi di munizioni, apparecchiature radar e altri bersagli tattici. Il consigliere per la sicurezza nazionale, H.R. McMaster, ha detto – in un passaggio che apre molte altre domande – che “i militari hanno preso precauzioni per evitare di colpire un deposito di sarin nella base” e qualche ora dopo l’operazione il Pentagono ha dichiarato che l’aggressione ha “ridotto le capacità del governo siriano di usare armi chimiche”. Non è chiaro, per il momento, se ci siano vittime né è possibile quantificare con precisioni i danni provocati dai Tomahawk. L’amministrazione ha però confermato di aver avvertito la Russia dell’operazione imminente nel corso della giornata, per evitare di colpire aerei lungo il tragitto dei missili a bassa quota e non danneggiare strutture e personale russo a Shayrat, prendendo anche misure per minimizzare le vittime nei ranghi del regime. Se i russi abbiano a loro volta avvertito gli alleati siriani, dando loro il tempo di spostare aerei e equipaggiamenti dalla base sotto tiro, è uno dei cruciali dettagli da chiarire.

 


  

L'incontro di ieri a Mar-a-Lago tra Trump e Xi Jinping (foto LaPresse)


 

Se Trump, per una volta, ha parlato chiaramente, dai vari rami dell’amministrazione sono arrivati messaggi contraddittori sul significato politico dell’attacco. E’ una svolta o un avvertimento? Una rappresaglia o l’inizio di una campagna? Mentre McMaster insisteva sul fatto che l’attacco “cambia i calcoli su Assad”, il segretario di stato, Rex Tillerson, camminava su un crinale logico spiegando ai cronisti che “non bisogna in alcun modo dedurre che gli attacchi abbiano cambiato la nostra politica o la nostra postura sulla Siria”. Tillerson è stato particolarmente duro con la Russia, che ha “fallito nelle sue responsabilità sull’accordo” ed è stata “complice oppure incompetente” sulle armi chimiche di Assad, dove si evince senza molti dubbi che, a questo punto, la Casa Bianca propende per la prima opzione. Da notare che poche ore prima dello strike, quando forse il Cremlino era già stato informato dagli americani, il portavoce di Putin, Dmitry Peskov, ha detto che anche l’alleanza con Assad ha un limite: “Il sostegno incondizionato non è possibile nel mondo di oggi”. Trump ha mandato il messaggio politico più potente dall’inizio del suo mandato, un messaggio estremamente aggressivo che mette in guardia non soltanto Assad e il suo protettore moscovita, ma dà un segnale a tutti gli attori ostili convinti di poter agire nell’impunità dato l’atteggiamento di disimpegno internazionale mostrato dalla Casa Bianca. Uno dei destinatari privilegiati è l’ospite di giornata Xi, che protegge la Corea del nord, uno stato canaglia con capacità nucleari e voglia di provocare il nemico americano. Rimane aperta anche la domanda sulla giustificazione legale per un attacco di questo tipo.

 

L’amministrazione ha fatto sapere, attraverso fonti anonime, di avere agito facendo leva sull’articolo II della Costituzione, che dà al presidente il potere di autorizzare limitate operazioni militari di fronte a minacce per la sicurezza nazionale. E’ l’unica opzione plausibile in un contesto dove il Congresso non ha autorizzato l’uso della forza contro l’esercito Siriano e il consiglio di sicurezza dell’Onu non ha passato risoluzioni in questo senso. Significa tuttavia che i legali della Casa Bianca danno un’interpretazione radicalmente diversa da quella data da Obama in un contesto analogo nel 2013, quando ha cercato di approvare un attacco con il sostegno del Congresso. Obama diceva che “il presidente non ha il potere, secondo la Costituzione, di autorizzare in modo unilaterale un attacco militare in una situazione che non sia volta a fermare una minaccia immediata o imminente alla nazione”. Nei prossimi giorni i funzionari dell’Amministrazione dovranno dimostrare la solidità dell’architettura legale che sostiene l’azione.

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