Beppe Grillo (foto LaPresse)

Che errore fa la “casta” se insegue Grillo invece di combatterlo

Marianna Rizzini
Il ddl del Movimento 5 Stelle sui costi della politica e il rischio dei grandi partiti di farsi antipolitici. Chiacchiere con Sposetti, Gotor, Macaluso

Roma. “Non deludeteci”, dice un sardonico Beppe Grillo ai deputati Pd chiamati a esprimersi sul ddl per il dimezzamento degli stipendi ai parlamentari (da ieri in Aula, con il rischio di un rinvio in commissione, ma pure in piazza, con presidio a Cinque Stelle oggi pomeriggio). E in quel “non deludeteci” c’è tutto il tono di chi vuol far sapere al mondo di aver messo mediaticamente in buca l’avversario. Nel momento di grande tensione pre-referendaria, infatti, e visto l’infuriare perpetuo del grido No-Casta sui “politici ladri”, il Pd si è messo in qualche modo a seguire l’agenda altrui, specie sulla questione “emolumenti parlamentari”, cavallo di battaglia del fronte antipolitico non solo grillino (con contorno di demagogia pauperista e utopia di rendicontazione estensiva). Ed ecco che domenica scorsa, contemporaneamente alla chiamata in campo di Grillo (martedì tutti davanti a Montecitorio!), il premier Matteo Renzi, a “In mezz’ora”, dichiarava di “essere favorevole a una riduzione degli stipendi dei parlamentari”, ma di non essere d’accordo sul “come” (Renzi ancorerebbe l’indennità alle presenze). E mentre Luigi Di Maio alzava l’asticella anticasta a un “se il Pd rinvia in Commissione…vuol tenersi tutto il malloppo”, e Alessandro Di Battista ribaltava in senso pro-ddl grillino lo slogan referendario pd “#BastaunSì”, il Fatto quotidiano titolava “chi vuole tagliare la Casta voti la legge M5s e lasci in pace la Costituzione”.

 

Il punto non è più soltanto il “quanto” e il “dove” tagliare lo stipendio dell’onorevole, ma il cedimento stesso a una mentalità, a un riflesso che spesso parte dal web e si propaga nelle conversazioni pubbliche e private: riflesso che porta a vedere sempre e comunque il politico come “ladro” da mettere preventivamente a stecchetto. Così il senatore pd non renziano e storico tesoriere ex Pci-Pds-Ds Ugo Sposetti, interpellato in proposito, fa notare che “l’aver inseguito i Cinque Stelle prima sui rimborsi elettorali, ai tempi di Enrico Letta, e poi sugli stipendi, con Renzi, pensando così di arginare il voto anticasta, non ha portato ai risultati sperati: si vedano Torino e Roma”. A Sposetti piacerebbe “essere rispettato per il lavoro che fa e ha fatto”, e in questo senso gli pare che abbia provocatoriamente ragione Vittorio Sgarbi, che, intervistato da “Il Fendente”, ha definito “solita demagogia” il dimezzamento dello stipendio dei parlamentari, asserendo che “diecimila euro al mese non sono troppi se lavori: rubi se non fai nulla”. “Errore strategico” la “rincorsa del M5s sul suo terreno”, dice Miguel Gotor, senatore della minoranza pd e bersaniano di ferro: “E’ come se il Pd stesse scuotendo un albero i cui frutti vengono raccolti da altri”. Attenzione, dice Gotor, anche alla “demonizzazione” del termine “politico” in sé, per esempio nei manifesti referendari che invitano a votare Sì chi voglia “tagliare” il numero dei politici: “Si rischia l’effetto boomerang del famoso slogan di Ignazio Marino: ‘Questa non è politica, è Roma’ ”. Dai e dai, a forza di additare la politica come male assoluto, “gli elettori si sono buttati direttamente sull’antipolitica”. Guardando più in generale alla recente storia del Pd, il padre storico del Pci-Pds-Ds Emanuele Macaluso dice che “già il vedere Pier Luigi Bersani in streaming con l’obiettivo di andare al governo con i grillini, nel 2013” lo faceva pensare a “un errore di valutazione, tanto più che i Cinque Stelle puntavano e puntano alla distruzione del sistema politico fondato sui partiti. Meglio sarebbe stato, sul tema ‘costi della politica’, lavorare a monte per sottrarre terreno all’antipolitica, focalizzandosi non tanto sul taglio stipendi quanto su tutto quello che c’è, in quantità abnorme, attorno al parlamentare: macchine, collaboratori, agevolazioni. E’ la superfetazione di tutto ciò a offrire pretesti al grillismo, inteso come progetto non solo antipartitico, ma di fatto anche antiparlamentare”.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.