Paola Muraro e Virginia Raggi (foto LaPresse)

I grillini di governo. Popcorn per tutti

Claudio Cerasa
Il caso Muraro, i capolavori della Raggi, il precedente dei sindaci (flop) di Podemos. Perché la grammatica di governo è incompatibile con la grammatica grillina. Nuove piccole prove per i distratti (onestà, onestà!).

Il 25 maggio del 2015, in Spagna, a poche ore d’aereo da Roma e da Torino, due donne con sguardi intensi e visi simpatici ma non da bamboline riuscirono nell’impresa di conquistare due grandi città spagnole durante un importante turno amministrativo. Le due città, che non valgono meno di Torino e di Roma, sono Barcellona e Madrid. E in entrambi i casi le due donne vittoriose alle elezioni, nella sorpresa generale, rappresentavano un partito che dopo quel successo, così si diceva, sarebbe stato destinato a conquistare l’intero paese: Podemos. A Madrid, 3,1 milioni di abitanti, venne eletta un’ex giudice di 71 anni, la signora Manuela Carmena. A Barcellona, 1,6 milioni di abitanti, venne eletta un’icona del movimento anti sfratti, Ada Colau, 41 anni, primo sindaco donna della città catalana dopo una serie ininterrotta di 119 uomini.

 

Caroselli. Applausi. Lacrime. Champagne. E cori in tutto il paese: “Sì, se puede”. E dopo il “sì, se puede” i copioni furono gli stessi. Entrambe si tagliarono lo stipendio. Entrambe annunciarono una rivoluzione dell’onestà (tà-tà). Entrambe misero sul tavolo un blocco alle privatizzazioni scellerate dei servizi urbani. Entrambe puntarono forte su una nuova èra di grande trasparenza nelle loro amministrazioni. Ed entrambe, ovviamente, furono presentate all’opinione pubblica come il simbolo di un cambiamento imminente che avrebbe dovuto presto travolgere la Spagna. Più o meno come uno tsunami tour. Tredici mesi dopo – ovvero tredici mesi dopo aver sperimentato un’amministrazione non felice come quella di Madrid, dove il sindaco ha fatto scappare miliardi di euro di investimenti bloccando la riqualificazione di alcune zone della città per evitare lo sfruttamento del suolo, e dopo aver sperimentato un’amministrazione altrettanto infelice come quella di Barcellona – alle elezioni politiche lo tsunami tour non si vede. Podemos non sfonda. Perde malamente le elezioni. Arriva sempre tre. E nelle otto città in cui la banda di Iglesias aveva vinto le amministrative alla fine, lo scorso giugno, arriva a perdere un totale di 190.204 voti (105 mila soltanto a Madrid).

 

Difficile dire se il modello Podemos (modello che funziona così: ti illudi che le forze anti sistema possano cambiare il sistema, poi capisci che le forze anti sistema sanno fare opposizione ma non sanno governare e piuttosto che votarli ancora ti tiri una zappa sui piedi)  sarà lo stesso che sperimenterà il Movimento 5 stelle alle prossime elezioni. Altrettanto difficile però non notare come la rivoluzione dei grillini di governo, soprattutto a Roma, presenti alcuni elementi che indicano già oggi, in modo del tutto evidente, come la grammatica di governo sia incompatibile con la grammatica grillina. E il dato spassoso, da popcorn, è che la Diavolina che ha incendiato la legna sotto la quale rischia di essere abbrustolita Virginia Raggi è stata confezionata, con cura e grande amore, dagli stessi simpatici rivoluzionari a cinque stelle. L’episodio di ieri, dell’assessore all’Ambiente del sindaco di Roma, Paola Muraro, da questo punto di vista è esemplare. Perfetto.

 

In sintesi la storia è questa: Muraro ha ricevuto un avviso di garanzia (onestà-onestà-onestà! Vergogna-vergogna-vergogna!), l’ha ricevuto molte settimane fa facendo finta di nulla (il 18 luglio, chissà dove erano i gazzettieri delle procure) e lo ha comunicato al sindaco di Roma (il 19 luglio) senza che il sindaco abbia avuto la prontezza di informare il paese. Un corto circuito perfetto, per la retorica grillina, indicativo di un problema che riguarda non solo il Movimento 5 stelle ma tutti quei partiti  che hanno messo al centro della propria agenda politica alcune parole che funzionano bene quando si fa opposizione ma che funzionano male quando tocca governare: il mito dell’onestà e il feticcio della trasparenza. La fragilità di Virginia Raggi non nasce dal fatto che il Movimento 5 stelle stia diventando “un partito come tutti gli altri”, o altre stupidaggini del genere, ma nasce dal fatto che il Movimento 5 stelle è rimasto intrappolato nella sua stessa retorica sciocca e scellerata che prevede alcune regole assolute.

 

Primo: un politico indagato è un politico colpevole fino a prova contraria e se un politico viene indagato, come ha detto Di Maio il  25 febbraio 2016, “deve dimettersi entro cinque minuti”. Secondo: un partito che si mischia con le lobby è un partito potenzialmente ricattabile e solo i partiti che trescano con le mafie hanno rapporti con le lobby. Terzo: un partito che tradisce i princìpi della trasparenza e che non manda in streaming, come un Grande fratello continuo, tutti i passaggi della propria vita democratica è un partito che ha qualcosa da nascondere. Quarto: se i politici sono portavoce del popolo, devono affidarsi al popolo per prendere le decisioni importanti e se non lo fanno, anche qui, hanno qualcosa da nascondere. Quinto: il valore più importante per un politico è l’onestà, più che la competenza, e l’onestà è una misura inversamente proporzionale al numero di avvisi di garanzia ricevuti da chi fa politica.

 

Ora, non per infierire, ma se la Diavolina è questa, è evidente che non può che ritrovarsi abbrustolito con la propria legna un sindaco che (a) non considera colpevole fino a prova contraria un politico indagato, (b) non denuncia per tempo un’indagine sul proprio assessore, (c) non organizza streaming per documentare i passaggi più importanti della propria vita democratica e (d) per scegliere un pezzo grosso della propria squadra consulta un avvocato di uno studio importante romano (prima o dopo una riunione con il Trilateral di Di Maio?) e non il popolo o quantomeno la base.

 

A voler essere generosi, e a non voler infierire, i grillini, che di questo passo potrebbero diventare i migliori alleati di Renzi, altro che Verdini, sono prigionieri della loro stessa retorica facilona e un po’ cialtrona e si ritrovano semplicemente nelle stesse condizioni di un avvelenatore di pozzi costretto ad abbeverarsi dal pozzo appena avvelenato. Nulla di sorprendente. E’ solo il tradizionale (e comico) copione delle forze anti sistema alla prova di governo. A Madrid e a Barcellona abbiamo già visto come è finita.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.