Virginia Raggi (foto LaPresse)

Perché non regge il metodo 5 stelle a Roma

Redazione
La crisi della giunta Raggi dimostra che quando si deve passare dalla protesta “contro” gli altri alla gestione di dossier concreti e complessi, cioè si deve esercitare potere politico, l'impostazione del Movimento grillino non ha tenuta, né pratica né ideale

Le crepe che mettono a rischio la tenuta dell’amministrazione capitolina si sono manfestate in tempi sorprendentemente rapidi, ma sono una conseguenza pressoché inevitabile della peculiare costruzione politica del Movimento 5 stelle, la cui impostazione di base  consiste nella lotta per “mandare via” una classe dirigente politica considerata (non sempre a torto) incapace e corrotta. Questo obiettivo raccoglie consenso soprattutto in situazioni come quella romana, in cui il degrado amministrativo è evidente, ma anche in situazioni – come quella torinese – in cui si manifesta stanchezza per un establishment sempre eguale a se stesso, anche se efficiente. Quando però si deve passare dalla protesta “contro” gli altri alla gestione di dossier concreti e complessi, cioè si devono operare scelte esercitando potere politico, si avverte tutto il peso di un’impostazione puramente speciosa. Proporre di dare a tutti un reddito fisso, indipendentemente dal lavoro, di risolvere la questione dei rifiuti facendoli smaltire agli altri, di difendere a spada tratta i “beni comuni” anche quando in realtà si tratta di società pubbliche inefficienti e costose, non fornisce alcuna indicazione effettivamente praticabile, come si era già visto in altri casi, da Parma a Livorno.

 

Quando si tratta di gestire un potere è inevitabile che si scontrino opzioni e interessi diversi, ma se si nega alla radice la dialettica politica – descritta dai grillini sempre solo come effetto della penetrazione di lobby e di interessi inconfessabili – si crea una situazione in cui la lotta di potere resta, ma diventa criptica e indecifrabile. Le cordate di potere, prive di un esplicito riferimento a  opzioni politiche alternative, si esprimono attraverso sistemi di amicizie e di relazioni personali, con relative inimicizie e rifiuti di collaborazione. Il clima interno del Movimento 5 stelle, improntato a una sorta di controllo dall’alto (camuffato da democrazia informatica), è il corollario inevitabile di una negazione del confronto tra posizioni differenti. Lo schema è lo stesso del centralismo democratico, con l’aggravante dell’assenza di una comune base sociale di riferimento organizzata e riconoscibile. Forse è un bene che la crisi si sia manifestata tanto precocemente. Non perché questo debba necessariamente portare a una dissoluzione del Movimento e al crollo del suo consenso, ma perché mette di fronte all’evidenza della impraticabilità di un certo metodo organizzativo e di una certa opzione ideologica. I responsabili del Movimento dovrebbero essere i primi a interrogarsi sulle necessarie correzioni di impostazione.

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