Il premier Matteo Renzi (foto LaPresse)

Per l'Italia c'è un'occasione d'oro dietro la Brexit: trasformare in competitività il pessimismo

Claudio Cerasa
Come si può sfruttare l'uscita del Regno Unito dall'Ue e rendere il nostro un paese più attrattivo? Due mosse semplici e chiare: tasse e giustizia.

Probabilmente non succederà nulla e magari alla fine non ci saranno aziende in fuga da Londra, multinazionali spaventate dalla City, manager terrorizzati dalle conseguenze della Brexit e tutto, chi lo sa, si risolverà magicamente con un Regno Unito che renderà semplicemente ancora più conveniente investire e lavorare negli uffici delle sue città. Non si sa se andrà davvero a finire così. Ciò che invece si sa è che l’uscita del Regno Unito dall’Ue ha avuto l’effetto di accelerare una serie di riflessioni non solo sulla tenuta e sul senso dell’Europa unita ma anche sulle capacità reali di ciascun paese dell’Unione di fare quello che finora è riuscito bene a Londra: essere competitivi nell’attrarre con costanza nuovi investimenti ed essere imbattibili nell’offrire condizioni fiscali favorevoli a chiunque voglia fare business. Da questo punto di vista la Brexit non può che essere per l’Italia un’occasione ghiotta per porsi una domanda semplice alla quale occorre rispondere con urgenza prima della prossima legge di Stabilità: piuttosto che continuare a indignarsi per le aziende che scappano dall’Italia alla ricerca di condizioni fiscali più vantaggiose, cosa può offrire l’Italia alle aziende in cerca di condizioni vantaggiose, a parte il clima e il buon cibo, per trasferirsi a Milano, a Torino, a Verona, a Roma, a Napoli piuttosto che a Parigi, a Madrid o a Francoforte?

 

E soprattutto: esiste una buona ragione, a parte il clima e il buon cibo, per cui i numeri uno delle grandi multinazionali con sede a Londra (da Vodafone ad Astra Zeneca) dovrebbero scegliere l’Italia? Il tempo non è molto ma qualcosa si può fare per costruire più che uno sblocca Italia un grande acchiappa Italia. E mai come in questa fase il governo avrebbe la necessità di muoversi seguendo due filoni, che sono più o meno gli stessi che emergono dal girotondo organizzato su questo tema oggi dal nostro giornale. Primo filone: può essere attrattivo un paese come il nostro in cui un’impresa quando si muove sul mercato si ritrova con un carico fiscale complessivo su ogni operazione che non ha pari nei grandi paesi d’Europa? Vedi alla voce Corporate Tax Rate: in Italia è dal 2008 al 31,4 per cento; in Spagna nel 2014 è passato dal 30 al 28 per cento; in Germania è al 29,6 per cento; nel Regno Unito è al 20 per cento. Su questo punto, naturalmente, la promessa di portare, con la prossima legge di Stabilità, l’Ires al 24 per cento è saggia ma in una fase straordinaria come questa si potrebbe ragionare anche su un taglio ulteriore (22,5 per cento?). Così come si potrebbe ragionare sulla sospensione di una tassa come la Tobin Tax, tassazione sulle rendite finanziarie, almeno fino a quando non verrà adottata da tutti i paesi dell’Unione (al momento c’è solo in Francia).

 

Un secondo filone riguarda poi tutta l’incertezza che grava sul nostro paese relativamente all’assetto giudiziario e che costituisce agli occhi dell’investitore straniero l’equivalente di quello che era un tempo l’articolo 18. Accanto alla riforma della giustizia civile e penale (Renzi, sveglia) molti osservatori internazionali individuano come un grande elemento di incertezza del paese l’approssimazione del sistema di giustizia tributaria (le cause gestite nelle commissioni tributarie non sono trattate da magistrati di carriera con specifica preparazione fiscale ma da magistrati part time che provengono sia dalla magistratura ordinaria sia dalle professioni più disparate) e la prontezza dell’agenzia delle entrate (provate a scrivere una mail all’Agenzia italiana e a quella irlandese e vedrete le differenze nei tempi di reazione). Ci sarebbero altre cose da dire ma per rispondere alla domanda iniziale Renzi non si può che partire da qui. Come si può sfruttare la Brexit e trasformare l’Italia in un paese più attrattivo? Due mosse semplici e chiare: tasse e giustizia. E il resto verrà da sé.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.