Beppe Grillo (foto LaPresse)

Schema 5 stelle

Antonio Pascale

I pentastellati compongono lunghi elenchi di brutture e nefandezze, una accanto all’altra, sciorinate di un fiato. L’elenco ottiene immediatamente due risultati: ti confonde e ti convince. Poi basta uno spicchio di cielo sereno per averla vinta. Ma c’è l’autoinganno.

C’è questa canzone di Niccolò Fabi: “Ha perso la città”. Racconta dello sfacelo della città contemporanea, per esempio: “Hanno vinto le corsie preferenziali, hanno vinto le metropolitane, hanno vinto le rotonde e i ponti a quadrifoglio alle uscite autostradali”. All’inizio pensavo fosse una parodia, magari Niccolò Fabi aveva voglia di prendere in giro un certo tipo di cantautore impegnato. Poi mi sono reso conto che era serio, insomma, sì, contesta un lungo elenco di mutazioni antropologiche metropolitane. L’ho ascoltata in macchina e su qualcosa ero anche d’accordo. Ho cominciato a tentennare quando ha attaccato le insegne luminose sui tetti dei palazzi, le luci lampeggianti dei semafori di notte e i bar che aprono alle 7. Voglio dire per me questi elementi sono motivo di fascino – io mi alzo presto e vado subito al bar. Comunque non è un articolo contro la canzone, anche se Fabi prende di mira “i ristoranti giapponesi che poi sono cinesi anche se il cibo è giapponese”. Non penso che l’amatriciana debbano farla solo quelli di Amatrice. A via di Donna Olimpia, dove abito, c’è un’osteria che fa una buona amatriciana, ma la cuoca è polacca, ed è bello, non trovate? Che gli immigrati difendano le nostre tradizioni. Magari Amatrice non può ospitare molti polacchi, ma una città sì, un milione di persone a settimana in tutto il mondo si trasferisce dalle campagne alle città. Forse le trovano interessanti, piene di possibilità.

 



 

Sì, non è contro il testo di un artista, però mi sono solo reso conto che questa canzone ha delle assonanze con il metodo dei pentastellati. Non so cosa abbia votato Niccolò Fabi, tuttavia anche i pentastellati compongono lunghi elenchi di brutture e nefandezze, una accanto all’altra, sciorinate di un fiato. L’elenco siffatto ottiene immediatamente due risultati: ti confonde e ti convince. So’ forti i pentastellati. Nei refrain, dico. Ti confondono perché lavorano per alimentare la massa critica. E così, dopo l’elenco di nefandezze, qualunque cosa generica dichiari ottieni subito il voto dall’elettore. Se descrivi un continuo temporale, poi basta uno spicchio di cielo sereno per averla vinta. Se tutto è corrotto e impuro il gioco è far credere che solo l’elettore (chissà per quale mistero) è puro, dunque è quello che non prende le tangenziali, non va dal giapponese e si sente male imboccando gli svincoli a quadrifoglio.

 

 

Oltre una canzone di Niccolò Fabi

 

C’è una controindicazione in questo genere di j’accuse di cui vale la pena discutere. Alla lunga, alimenta l’autoinganno. Quindi sei portato a rappresentare le nefandezze del prossimo, solo per meglio nascondere le tue. Ora, è vero, il binomio autoinganno più elenco di nefandezze porta alla vittoria. Chi guarda più i programmi? Chi li valuta? Tuttavia, non avere un programma o averlo generico (trovate davvero credibile le cooperative di quartiere che lavano pannolini riciclabili?) è una forma di menzogna. Se il merito dei pentastellati è quello di averci abituati ad accusare gli altri con lunghi elenchi, bisogna ammettere che da questo nasce fiducia verso l’accusatore, e per questo non si esaminano con serietà le sue proposte: basta il generico spicchio di cielo. Per questo i pentastellati continuamente battono sui toni della purezza: legalità, onestà, governabilità, e per tenere il gioco illuminano solo ciò che nell’altro è ridicolo, grottesco, e lasciano in ombra tutte quelle parti che servirebbero ad analizzare il problema: un modo per non far caso alle proprie pagliuzze.

 

E se queste si trasformano in travi? C’è sempre un altro autoinganno e un altro elenco di nefandezze altrui. Non so se ha vinto o perso la città, ma una città si governa se si riconoscono le lobby dei costruttori, le insegne e i cinesi che cucinano giapponese. Sono elementi della comunità, rappresentano interessi (ma ognuno di noi è portatore di interessi), andrebbero considerati al tavolo delle trattative e non solo inseriti come elementi del generico j’accuse. Del resto in natura gli individui egoisti possono vincere su quelli altruisti, ma i gruppi altruistici vincono sempre su quelli egoistici. La politica dovrebbe garantire questo, gettare ponti tra egoisti per convincerli a cooperare, e non tagliarli convinti che solo di lì ci sono gli egoisti.

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