Ezio Mauro (foto LaPresse)

L'apocalisse del giustizialismo spiegata a uno che c'era, Ezio Mauro

Maurizio Crippa
Un generale che s’è tolto la divisa, ma non riesce ad abituarsi ai panni civili e più comodi e torna solitario ai campi di guerra su cui ha tenuto il comando, e contempla con una pietas tutta nuova il paesaggio dopo la catastrofe. Così viene da immaginarselo, Ezio Mauro, ora che non è più commander in chief della sua armata.

Un generale che s’è tolto la divisa, ma non riesce ad abituarsi ai panni civili e più comodi e torna solitario ai campi di guerra su cui ha tenuto il comando, e contempla con una pietas tutta nuova il paesaggio dopo la catastrofe. Così viene da immaginarselo, Ezio Mauro, ora che non è più commander in chief della sua armata. E’ stato un buon soldato, tutto regolamenti, e ora che torna sul campo non può che giudicare con sincerità le macerie che vede. E poiché così immaginiamo l’uomo, preferiamo prenderlo in parola che riceverlo a sassate: e tu, da che parte sbagliata hai combattuto, tutti questi anni?

 

Ieri Ezio Mauro ha scritto su Repubblica un onorevole editoriale, “I supersiti dell’apocalisse”, in cui ha denunciato senza se e senza ma i guai del giustizialismo e di un “derby quotidiano e miserabile” (parla di quello tra Pd e Cinque stelle, ma sa bene che è un campionato in cui giocano tutti) che ha ridotto la politica alla palude di una “legalità” presunta e farlocca. Cosicché “siamo ormai al fascio di ogni erba”. Dunque, i recenti fatti sono “l’occasione per una riflessione fuori da ogni polemica sul triangolo tra la legalità, la politica e l’antipolitica”. Pagato il tributo dell’ipocrisia alla virtù – il “problema della nuova permeabilità clamorosa” delle élite alla corruzione – Mauro ragiona sui danni di un concetto di legalità che “si è trasformata in un vero e proprio programma politico” e di un’antipolitica che “delega ai magistrati” la soluzione dei problemi. Dimenticando che la bandiera dell’onestà è “una condizione indispensabile, ma non sufficiente, in quanto rischia di ridurre la politica a una sola dimensione”. E riflette, l’ex direttore, sulla tremenda verità: “Tutto questo è inevitabile quando si scommette sulla crisi del sistema a fini di profitto politico”.

 

Ma siccome Ezio Mauro è un uomo d’onore, vogliamo pensare che descrivendo questa catastrofe della politica, della democrazia e delle istituzioni (questa “feroce gioia contro le istituzioni”, dice citando Croce) abbia la consapevolezza e forse un po’ di pentimento tardivo (“se c’è un pentimento, è tardivo”, direbbe Paolo Nori) di aver guidato lui stesso, con mano ferma e per vent’anni un giornale-esercito che di quell’ideologia e di quei mezzi ha fatto arsenale e bandiera. Nella battaglia giustizialista dell’epoca di Mani pulite; nel fiancheggiamento mai rinnegato fino a questi ultimi giorni (ed è stato il suo colonnello Francesco Merlo a inaugurare l’autodafé) del partito dei giudici; nella personalizzazione-demonizzazione della lotta politica contro Berlusconi; nelle cariche a cavallo con la sciabola di ogni affittopoli, mafiopoli, cazzabubbopoli degli ultimi trent’anni (cariche spesso passate in cavalleria, poi); nella sordida gogna delle dieci domande al Cav.; nei post-it di “intercettateci tutti”; nei Palasharp. Ha ragione Mauro quando dice che i cinque stelle sono “gli ereditieri del collasso del sistema”, e non i protagonisti del cambiamento. Ma dovrebbe ammettere che in quella folle guerra giustizialista e antipolitica contro la democrazia e le istituzioni, lui ha valorosamente combattuto.

 

Ps. Tutto questo, nel giorno in cui il sito di Rep. mette online la telefonata del Cav. con le olgettine che bussano a quattrini. Ma i vecchi generali non c’entrano.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"