Gianroberto Casaleggio (foto LaPresse)

“Nella democrazia diretta non ci può essere democrazia”. Il discorso che Casaleggio non farà alla Camera

Claudio Cerasa
Con i potenti mezzi del Foglio abbiamo intercettato una mail in bozza con il discorso che il guru pentastellato non farà in audizione alla commissione Affari costituzionali per la riforma dei partiti.

I potenti mezzi del Foglio hanno intercettato nella casella di posta elettronica del dottor Gianroberto Casaleggio, sezione bozze, il discorso che il guru del Movimento 5 stelle non farà, ma vorrebbe fare, il giorno in cui sarà ascoltato dalla commissione Affari costituzionali della Camera in merito alla futura riforma dei partiti (secondo alcune ricostruzioni, l’invito è arrivato sull’email di Casaleggio prima ancora che fosse spedito dall’account della Camera). In poche cartelle, il guru del Movimento decide di vuotare il sacco e di dire la verità sul tema dei temi: cos’è il metodo Casaleggio, come funziona la trasparenza del Movimento, che senso ha la democrazia diretta.

 

“Cari amici e cari colleghi scusate ma qui non c’è nessun segreto, nessuno spionaggio, nessuna Watergate. Quello di cui state parlando è il metodo del nostro movimento e mi stupisco che ci sia qualcuno che ancora si stupisce. I partiti moderni, per funzionare, hanno bisogno di creare o almeno far credere che ci sia un rapporto diretto tra l’elettore e l’istituzione che si rappresenta. Si chiama democrazia diretta e funziona così. Io metto in Parlamento il primo che passa. Lo trasformo in un portavoce del popolo. Gli conferisco il compito di essere la voce della ‘gente’. Coltivo un gruppo dirigente omologato, allineato e diffidato dal contestare la linea del capo. Offro agli elettori l’illusione di essere tutti, uno a uno, perché uno vale uno, i veri rappresentanti dei rappresentati. E poi, capolavoro, faccio votare gli elettori sulle cose che non contano. Do loro in pasto votazioni che servono non a scegliere ma solo a ratificare scelte già fatte a monte, cioè da me. E uso la trasparenza, lo streaming, come una nocciolina, mettendo online le nostre dirette solo quando si discute di cose inutili, perdibili, senza senso. Meraviglioso, no? Vedete, gentili colleghi, la democrazia diretta, questa espressione che non vuol dire nulla ma vuol dire tutto, è uno strumento formidabile: legittima chi comanda un partito a prendere decisioni dando agli elettori l’illusione che siano stati loro a determinare quelle decisioni. E’ spietato? E’ un metodo da paraguru? Credo sia l’unico modo possibile per fare politica. Trovate voi un modo più efficace del mio per raccogliere i rutti del popolo e trasformarli in clic e in seggi in Parlamento. Lo so, lo so. Tutto si gioca su un equilibrio delicato, complicato".

 

[**Video_box_2**]"Per far funzionare la nostra macchina bisogna essere giacobini, predicare la politica dell’omogeneità, trasformare in traditore chiunque si ribelli al nostro sistema. Non ci può essere dissenso. Non ci può essere democrazia, nella democrazia diretta, ed è naturale che chi controlla il partito, per il bene del partito, debba esercitare un controllo militare su tutto. Sulla comunicazione dei gruppi parlamentari. Sulle dichiarazioni dei parlamentari. Sulle conversazioni. Sui server. Sulle vite degli altri. D’altronde, solo chi ha qualcosa da nascondere si preoccupa di non essere controllato, no? La privacy, dicono frignando. Certo. Ma vale la stessa regola delle intercettazioni. Chi non le vuole vedere pubblicate ha qualcosa da nascondere, no? Vedete, gentili colleghi, mi stupisco che vi stupiate. Bobbio l’ho letto anche io, ovvio, e so bene quel che diceva: “Nulla rischia di uccidere la democrazia più che l’eccesso di democrazia”. Sono d’accordo con lui. Ma oggi i tempi sono cambiati, amici, e vi dico con sincerità che, per salvare la democrazia, è necessario, almeno temporaneamente, mettere a segno un capolavoro: abolire la democrazia dando l’illusione che ci sia il massimo della democrazia. Bisogna dire che uno vale uno, ma solo per dare a una persona come me, come noi, la possibilità di scegliere a nome delle altre. Tutto il potere al popolo, oh yeah. Ma solo a condizione che il popolo possa scegliere quello che io, che noi, abbiamo già scelto con calma. Mostratemi un politico moderno che non capisce questo concetto e io vi mostrerò un politico perdente. Grazie a tutti”.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.