Il leader di Podemos, Pablo Iglesias (foto LaPresse)

Il dramma di chi insegue i Podemos

Claudio Cerasa
Realtà o princìpi? Il flop socialista, in Spagna, è una lezione per le opposizioni che rincorrono le forze anti sistema: inseguirle significa regalargli voti, non rubarglieli. La fuffa della democrazia diretta e le lezioni utili anche per l’Italia.

Nessuno sa come si concluderà la complicata partita a scacchi spagnola e nessuno sa se alla fine i socialisti (Psoe) accetteranno di far nascere un governo a guida Rajoy (Pp). Nessuno dunque sa come finirà, ma tutti oggi dovrebbero prendere carta e penna per appuntarsi quel che già si sa: le ragioni, cioè, che hanno impedito all’ennesimo partito progressista europeo di presentarsi di fronte ai propri elettori con il profilo giusto per governare il paese. Per Pedro Sánchez, leader dei socialisti spagnoli, vale la stessa lezione con cui ha dovuto fare i conti pochi mesi fa in Inghilterra l’ex leader dei Labour, Ed Miliband, e vale quindi la stessa regola universale che riguarda quelle opposizioni che per arrivare a guidare il paese si preoccupano di rincorrere più le forze anti sistema che le stesse forze di governo. Un tempo, espressione nota tanto in Italia quanto in Spagna, il filo che legava i partiti di sinistra a vocazione non maggioritaria (e dunque a vocazione minoritaria, perdente) era quello di strutturarsi in modo tale da non avere nessun nemico a sinistra. Oggi, invece, il pas d’ennemi à gauche si traduce con un concetto più raffinato – nessun nemico tra i populisti. E così come Ed Miliband è rimasto in mutandoni a forza di preoccuparsi di non lasciare troppo spazio agli indipendentisti scozzesi, allo stesso modo, seppure con una percentuale diversa e meno disastrosa, si può dire che Pedro Sánchez ha scoperto sulla sua pelle che inseguire i Podemos, declinando la retorica della diseguaglianza, usando la classica fuffa dei redditi minimi, usando spesso armi simili a quelle di Iglesias ed evocando la solita sfida ai poteri forti della finanza (“salvar a las personas y a los niños y las personas pobres es tan importante o más que salvar a las entidades financieras”), significa regalargli voti, ai Podemos, e non certo rubarglieli. Sono le basi del marketing: le persone, gli elettori, di solito preferiscono ciò che è originale a ciò che è taroccato.

 

 

Da un certo punto di vista, la lezione dovrebbe suonare familiare anche in Italia per tutti quei partiti, come per esempio Forza Italia, indecisi se seguire la strada della costruzione di un’alternativa pressando i partiti di governo (facendo, cioè, concorrenza diretta al Pd) o se seguire la strada opposta, che è quella di immaginare un’alternativa inseguendo i partiti anti sistema (come la Lega o, peggio, il Movimento 5 stelle). La vecchia definizione di Max Weber, per quanto sia datata, è valida più che mai e come ricordato dal professor Massimo Salvadori in un saggio appena uscito per Donzelli (“Democrazia”) oggi grosso modo esistono due tipi di partiti: “Quelli che, date le concrete condizioni istituzionali e sociali, hanno la possibilità concreta di accedere al governo ottenendo la maggioranza dei consensi popolari e si propongono questo obiettivo. E quelli invece che, attestati su posizioni anti sistema, non hanno la prospettiva di arrivare al potere e sono costretti a restare in minoranza avendo come scopo, in attesa di un indeterminato futuro che apra loro la via del potere, l’affermazione dei propri princìoi”. Fino a qualche tempo fa, capofila indiscussi della seconda categoria erano i compagni greci di Syriza, ma la loro esperienza di governo, la prima, è stata la peggiore vetrina possibile per tutti quei partiti “portatori di princìpi” che periodicamente provano ad incantare i propri elettori con la retorica vuota della “democrazia diretta” e del “no all’Europa delle banche” (terroristi, li chiamò il grande Varoufakis, prima di cominciare il suo tour in giro per l’Europa per parlare male di finanza a colpi di ottimi cachet milionari). La democrazia diretta, tutto er potere ar popolo, è la grande favola che accomuna i partiti anti sistema. E l’esperienza di Tsipras, da questo punto di vista, è un precedente drammatico, che dimostra come la romantica politica dei princìoi funzioni solo quando si è all’opposizione. Perché se poi arrivi al governo puoi imbrogliare per un po’, puoi inventarti un po’ di referendum, ma alla fine i princìpi non puoi che sostituirli con la realtà (oggi Tsipras è arrivato ad approvare la ottantaseiesima riforma richiesta dalla nuova Troika in cambio di aiuto economico). Gli elettori ormai lo sanno, conoscono la truffa, e i Podemos di tutto il mondo giocano molto con i petardi ma alla fine arrivano sempre tre, e chi li insegue, alla lunga, oltre che regalare loro voti rischia di fare sempre la stessa fine. Rischia semplicemente di entrare nello stesso girone della politica del bluff. Nessuno sa come andrà a finire in Spagna, ma tutti dovrebbero rendersi conto che il principio di realtà, oggi, come insegnava Max Weber, dovrebbe contare più della semplice e sterile politica dei princìpi, almeno quando si ha davvero l’ambizione di governare un paese.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.