Fabio Fazio e Roberto Saviano (foto LaPresse)

Saviano, Fazio, i talk e la caduta degli dèi

Claudio Cerasa
La caduta degli déi è come uno stagno prosciugato in cui improvvisamente i Paladini della Verità si ritrovano in una condizione non diversa dalla famosa pancia nuda di Paolo Villaggio che si tuffa con scioltezza nella marmorea piscina vuota del Secondo Tragico Fantozzi. Stomp.

La caduta degli déi è come uno stagno prosciugato in cui improvvisamente i Paladini della Verità si ritrovano in una condizione non diversa dalla famosa pancia nuda di Paolo Villaggio che si tuffa con scioltezza nella marmorea piscina vuota del Secondo Tragico Fantozzi. Stomp. La caduta degli dèi, oggi, coincide con un fenomeno che solo a un osservatore distratto potrebbe essere sfuggito e che riguarda l’Italia radical pop dei martiri della libertà, rappresentata magnificamente fino a qualche mese fa dai Roberto Saviano e dai Fabio Fazio e da tutta la tribù degli intoccabili dei salottini progressisti.

 

Un’Italia che per anni si è fatta utilizzare dalla gioiosa macchina da guerra della sinistra nannimorettiana come un ariete utile a sfondare l’Italia guidata dal Caimano, e che improvvisamente ora si ritrova sola e abbandonata come Fantozzi sul fondo della piscina. Il format, in fondo, era collaudato e funzionava più o meno così: prendi un Saviano o un Fazio, piazzagli accanto un Dario Fo o un Gustavo Zagrebelsky, metti in circolo l’idea che l’Italia sia un posto invivibile, di merda, in cui le uniche persone degne di non essere crocifisse sono quelle impegnate nella distruzione semantica dell’Italia berlusconiana, cita a caso qualche articolo della Costituzione, sostieni che la democrazia sia in pericolo, miscela tutto con un po’ di intercettazioni, un po’ di allusioni al bunga bunga, un po’ di ironia alla Littizzetto, amalgama il tutto e il risultato, almeno nelle intenzioni, doveva essere quello di dar vita a una grande e stabile e invincibile egemonia culturale. Format perfetto e a lungo persino di successo, ma con un unico difetto. E che, adesso, è costretto a una nuova consapevolezza: la macchina della nuova presunta egemonia culturale non solo non ha disintegrato Berlusconi, ma ha contribuito a far nascere Renzi. Si spiega anche alla luce di questo il fatto che il più intoccabile dei paladini della libertà, Saviano, nei giorni del pelo e contro pelo del Daily Beast (al plagio, al plagio!) sia stato lasciato solo, senza neppure un post-it del popolo viola o un appello dei girotondi in difesa della libertà d’espressione. Si spiega anche alla luce di questa (nuova) consapevolezza che in prima serata il fabiofazismo tiri meno rispetto al passato (esordio stagionale basso basso, nove per cento).

 

[**Video_box_2**]Si spiega anche alla luce di questa consapevolezza che di fronte a molti talk-show oggi esista un pregiudizio naturale nella testa del telespettatore: perché mai devo guardare un programma che per fare ascolti utilizza ancora la stessa miscela inutile e dannosa – la democrazia in pericolo, la Costituzione a rischio – adottata negli anni della lotta dura e pura contro il Caimano? La realtà di oggi ci dice che il vecchio salottino della sinistra televisiva non esiste più, è finito in uno stagno, e nella testa dell’elettore-telespettatore c’è una convinzione diversa, la stessa probabilmente che si trova dietro la nascita del renzismo. Sintetizziamo. Il format delle cinquanta sfumature di vaffa ha creato una bolla in cui ad aver perso la propria identità non è solo la politica di sinistra, ma anche la cultura progressista; e i danni provocati da quella bolla sono così grandi che chi li ha prodotti si ritrova oggi in una situazione di solitudine, in cui, per semplificare, a non accendere più la tv non sono solo i nemici storici dei Saviano e dei Fazio, ma anche tutti coloro che, con un certo ritardo, hanno capito una cosa semplice: i Paladini della Verità hanno dato una spinta fatale per far provare alla sinistra la stessa piacevole sensazione di Fantozzi in quella piscina vuota. La pancia della sinistra.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.