Matteo Renzi e Benjamin Netanyahu (foto LaPresse)

Che cosa porta Bibi a cena da Renzi

Claudio Cerasa
La diplomazia israeliana preoccupata dall’espansione in Libia delle Guardie rivoluzionarie iraniane e le ragioni per cui gli ayatollah sono un pericolo maggiore rispetto all’Isis. I dossier di cui parleranno oggi Renzi e Netanyahu - di Claudio Cerasa

Nei dossier che i diplomatici israeliani hanno consegnato in queste ore allo staff del presidente del Consiglio, in vista del bilaterale informale che verrà celebrato questa sera a Firenze tra il primo ministro israeliano e quello italiano, c’è un nome in particolare che compare a sorpresa e che sotto molti punti di vista sarà uno dei convitati di pietra dell’incontro tra Matteo Renzi e Benjamin Netanyahu: Qassem Suleimani. La sorpresa non è legata al fatto che il premier israeliano consideri il capo dell’unità speciale dei Guardiani della rivoluzione iraniana come una minaccia costante per la sicurezza israeliana. La sorpresa è legata al fatto che stasera il capo del governo israeliano metterà per la prima volta a verbale, di fronte a un interlocutore europeo, che quello che in molti considerano solo uno dei tanti nemici di Israele ha cominciato a esercitare la sua influenza pericolosa anche in un paese non distante dalle coste italiane: la Libia. E se è vero quello che qualche settimana fa Matteo Renzi ha detto alla Knesset, a proposito dei rapporti tra l’Europa e Israele, che chi fa del male a Israele non fa male solo a Israele ma fa male a se stesso, mai come in questo caso potrebbe essere valido anche un ragionamento ulteriore: quel che è pericoloso per Israele (il regime iraniano e lo Stato islamico) non è una minaccia soltanto per Israele ma è una minaccia per tutto l’occidente, Italia compresa.

 

Tra gli argomenti di natura geopolitica, militare ed economica che verranno affrontati questa sera a cena tra Renzi e Netanyahu non vi sarà un invito esplicito che il primo ministro israeliano porgerà al presidente del Consiglio italiano relativamente a un intervento militare in Libia. Ma nonostante la posizione della diplomazia israeliana su questo punto sia prudente (in Libia, dal punto di vista di Israele, non c’è in ballo soltanto la sicurezza e la coesione di un paese ma anche il possibile coinvolgimento diretto in un eventuale conflitto di uno stato come l’Egitto, considerato in questa fase da Netanyahu un alleato strategico nella lotta al terrorismo islamico), le parole che il nostro presidente del Consiglio sentirà uscire dalla bocca del capo del governo israeliano suoneranno comunque come un invito a non perdere tempo e a non dare occasione al terrorismo di crescere in modo esponenziale. Perché ogni giorno in più che la coalizione internazionale anti Isis concederà ai terroristi islamici coinciderà con un giorno di tempo in più che verrà dato allo Stato islamico per proliferare, organizzarsi e naturalmente arricchirsi (e alla lunga, è la preoccupazione di Israele, l’influenza in Libia dell’unità speciale dei Guardiani della rivoluzione potrebbe aggravare la situazione).

 

A Netanyahu, partendo da questo punto, Renzi confermerà che la coalizione non intende sottovalutare il pericolo di esplosione della Libia e che per questo esiste una scadenza precisa oltre la quale sarà difficile provare a insistere ancora con la via diplomatica per la risoluzione del caos libico: ottobre. E una volta superata quella data, salvo sorprese, partirà l’intervento dal cielo. Israele, come si sa, ha già osservato in molte occasioni, in Siria per esempio, e ovviamente anche in Iraq, la scarsa efficacia della lotta al terrorismo portata avanti solo con droni e cacciabombardieri. E per questo, a cena con Renzi, il premier israeliano ribadirà che l’esperienza dimostra che per sradicare il terrorismo non bastano un paio di bombe dal cielo, ma occorre agire con decisione per mettere di fronte al nemico una violenza incomparabilmente superiore. E dunque, è questa la posizione della diplomazia israeliana, non si può garantire la sicurezza in medio oriente se non si mettono gli scarponi sul terreno e non si interviene con i soldati sul campo.

 

Rischi della scommessa economica sull’Iran

 

Nel corso della cena con il capo del governo israeliano, inoltre, il nostro presidente del Consiglio scoprirà, in modo persino più deciso rispetto a quanto aveva già in parte intuito nel corso di alcuni incontri privati avuti durante il suo recente viaggio a Gerusalemme e Tel Aviv, che sempre a proposito della sicurezza di Israele la linea di Netanyahu è chiara: l’occidente dovrebbe capire che non esiste solo uno stato islamico che minaccia la sicurezza nel mondo ma che ne esistono due; e tra i due, quello che alla lunga sarà più pericoloso non è il Califfato dello Stato islamico ma è il regime iraniano, con tutta la sua tentacolare sfera di influenza (da Hezbollah fino allo Yemen passando anche per Hamas). Nonostante le parole di amicizia mostrate da Renzi nel corso del suo viaggio in Israele (il premier italiano è stato il primo dei leader occidentali a incontrare Netanyahu dopo l’accordo di Vienna sul nucleare e Bibi stesso ha apprezzato che il governo italiano abbia promosso al Senato una legge contro il BDS, il movimento per il “Boicottaggio, la Delegittimazione e le Sanzioni contro Israele”), il premier israeliano considera prioritario sensibilizzare quello che considera uno dei paesi oggi più vicini culturalmente a Israele (l’Italia) su un tema che in queste settimane è stato schiacciato sotto il rullo compressore del pensiero unico rispetto all’accordo di Vienna: l’Iran, dirà Netanyahu a Renzi, non è solo un pericolo per Israele ma è un pericolo anche per tutto l’occidente, e anche per l’Italia; e la possibilità che il regno degli ayatollah possa un giorno dotarsi di un arsenale atomico che metterebbe a rischio non solo il paese che l’Iran vuole eliminare dalla cartina geografica (Israele) ma anche l’occidente è un tema che non può essere sottovalutato.

 

[**Video_box_2**]E forte di questa convinzione, il premier israeliano sarà dunque deciso su un argomento che non riguarda soltanto l’Italia ma tutti i paesi europei: la corsa delle grandi aziende europee in Iran che, una volta terminate le sanzioni, hanno l’occasione di trasformare Teheran in una gallina dalle uova d’oro. L’invito che arriverà dal premier israeliano, difficile da raccogliere da parte del capo del governo italiano, è in sostanza quello di valutare con attenzione i costi e i benefici di una tale operazione, che può produrre sì dei benefici sul breve termine, anche di carattere economico, ma che sul lungo termine potrebbe essere un investimento pericoloso, se è vero che la scommessa sull’Iran è una scommessa che è stata persa troppe volte e che anche in questa occasione ha un esito più che incerto. E dunque, è questo il ragionamento della diplomazia israeliana, siamo sicuri che valga la pena investire in modo massiccio in Iran sapendo quello che potrebbe capitare all’occidente se le cose dovessero andare male, ovvero che un Iran con la bomba potrebbe rapidamente far ripiombare il mondo in un clima da Guerra fredda?

 

Tra le informazioni contenute nei dossier visionati dallo staff di Palazzo Chigi, traspare infine una strategia con la quale anche l’Italia dovrà fare i conti e che riguarda la nuova direzione imboccata da Israele in seguito alla scelta (non solo degli Stati Uniti ma anche dell’Europa) di puntare sul ruolo dell’Iran come nuovo stabilizzatore del medio oriente. La scelta di Israele, in questo senso, è quella di reagire diplomaticamente rafforzando un canale già aperto negli ultimi mesi in modo esplicito: quello con alcuni paesi arabi a maggioranza sunnita. Tre in particolare: l’Egitto, l’Arabia Saudita e naturalmente la Giordania. Con l’Egitto, e anche con la Giordania, il governo italiano ha mostrato di avere già un buon feeling. E se nei prossimi mesi Renzi dovesse scegliere di rafforzare i canali diplomatici del nostro paese anche con i sauditi sarà davvero difficile non ricordarsi delle parole, dei temi e volendo anche delle lezioni politiche e geopolitiche che il capo del governo israeliano offrirà stasera a cena al suo omologo italiano.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.