Gianni Cuperlo e Matteo Renzi (foto LaPresse)

Pulsante finish. O no?

Claudio Cerasa
Renzi e la scissione inevitabile. Chi sogna e chi teme nel Pd l'esplosione alla Tsipras - di Claudio Cerasa

Sul Foglio abbiamo dato conto in esclusiva di una simulazione importante che poche settimane fa è arrivata sulla scrivania di Renzi: che cosa succederebbe se le riforme costituzionali dovessero trasformarsi in un ostacolo insormontabile per la legislatura e se il segretario del Pd fosse costretto a chiedere al presidente della Repubblica di sciogliere le Camere? Lo scenario descritto prevederebbe un nuovo contesto politico in cui Pd e Forza Italia sarebbero “costretti” (usiamo le virgolette con un sorriso) ad allearsi al Senato e fare quello che già oggi dovrebbero fare per dare una stabilità al governo: una grande coalizione. All’interno di questo scenario c’è però un punto importante che vale la pena di indagare e che costituisce una delle grandi domande che riguardano il futuro del Partito democratico. Il cuore del discorso è questo: fino a che livello di rottura può realisticamente arrivare la minoranza del Pd? Il tema della scissione, al di là dello spin di Palazzo Chigi, per la prima volta è diventato uno scenario concreto e la segreteria del Pd crede giustamente che la minoranza del Pd abbia alzato così tanto l’asticella del dissenso nei confronti del segretario da essere arrivata probabilmente a un punto di non ritorno. Problema: può davvero una “corrente” che ormai si muove come un partito restare in quello stesso partito in cui domina un segretario che quella corrente considera nel migliore dei casi “un uomo di destra” e nel peggiore dei casi un fascista mascherato da democratico?

 

Anche i mediatori più laici del renzismo sono convinti che comunque andranno le cose un pezzo di Pd è ormai andato, è perso ed è irrecuperabile, e la ragione vera per cui il presidente del Consiglio non concederà per nessuna ragione al mondo la modifica alla legge elettorale richiesta esplicitamente da Forza Italia e implicitamente dalla minoranza del Pd si lega anche al rischio concreto di esplosione del Pd: una legge elettorale con premio alla lista disincentiva la disgregazione del sistema politico, una legge elettorale con premio alla coalizione incoraggia la scissione e rischia di rendere la separazione consensuale tra i due Pd semplicemente scontata. Sarà dunque sufficiente evitare l’introduzione del premio alla coalizione nella legge elettorale per evitare la scissione? Tutt’altro. Una volta approvata a settembre la riforma costituzionale (i voti ci saranno, in seconda lettura le riforme costituzionali hanno bisogno non del quorum minimo dell’Aula ma solo di un voto in più) la stima della segreteria del Pd è che un gruppo di deputati e senatori del Pd (circa una decina) uscirà dal partito. Il vero scenario di esplosione del Partito democratico non si andrà a configurare nel caso in cui il governo dovesse riuscire ad andare avanti, ma verrà a concretizzarsi nel caso in cui il presidente del Consiglio dovesse decidere di premere il pulsante del voto anticipato. Le simulazioni del Pd sullo scenario che si andrebbe a creare in caso di scioglimento delle Camere senza riforma costituzionale approvata non tengono conto del fatto che un pezzo importante del Pd, quello a trazione gauchista, ha già deciso che in caso di voto anticipato la scissione sarà inevitabile. E attenzione: non si tratta solo di ragionamenti fumosi o di polverosi retroscena. Si tratta di una convinzione precisa maturata quest’estate all’interno del gruppo dirigente del Partito democratico che viene descritta a Palazzo Chigi come l’opzione Tsipras (copyright Lucia Annunziata).

 

[**Video_box_2**]Sintesi del ragionamento: se la legislatura va a rotoli, va a rotoli per colpa della minoranza del Pd; e se la legislatura va a rotoli per colpa della minoranza del Pd, la rottura tra il Pd 1 (quello renziano) e il Pd 2 (quello anti renziano), in caso di voto anticipato, non può che essere consensuale. Elezioni o non elezioni, per la sinistra del Pd l’unica certezza è che lo scenario greco non è un’opzione remota ma è un problema concreto. Il problema è questo, è ogni giorno più attuale e ha diversi punti di contatto con l’evoluzione del dramma politico greco: può oppure no la sinistra trovare la propria identità all’interno del perimetro di governo? Se Renzi riuscirà ad andare avanti, la scissione del Pd sarà ridotta e la minoranza del Pd sfrutterà la legislatura per preparare, a colpi di battaglie parlamentari, il prossimo congresso. Se Renzi non dovesse riuscire ad andare avanti, lo scenario greco sarebbe concreto. E il punto è che, l’opzione Tsipras, ovvero il Pd che si libera delle sue zavorre di sinistra, è un’opzione che a Renzi dispiacerebbe solo fino a un certo punto.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.