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Quel testo segreto del Csm che potrebbe cambiare le correnti della magistratura

Alessandro Da Rold
Il “Testo Unico sulla Dirigenza”, avverso dalle lobby dei togati più conservatori, potrebbe rendere finalmente virtuosi i vertici della giustizia italiana

Milano. Mentre continua la polemica tra governo e magistratura, tra ipotesi di nuove leggi sulle intercettazioni e proroghe del decreto Madia, sulle scrivanie di palazzo dei Marescialli, sede del Consiglio Superiore della Magistratura, giace da qualche mese un provvedimento che se venisse approvato in consiglio rivoluzionerebbe le modalità di selezione dei vertici della magistratura italiana, dalle nomine dei procuratori capo delle procure più piccole fino alla Corte Suprema di Cassazione. Si tratta del “Testo Unico sulla Dirigenza”: è un documento custodito in gran segreto che ha ricevuto appoggi trasversali dalle varie correnti delle toghe all’interno del consiglio, da Area fino a Magistratura Indipendente, ma che viene criticato all’esterno del Palazzo, in particolare da quelle antiche e conservatrici lobby di togati che in questi anni hanno voluto avere mani libere nella spartizione degli incarichi “direttivi e semidirettivi”. Per questo motivo se ne parla poco, anche perché se entrasse in vigore imporrebbe dei parametri molto più stringenti nelle nomine di capi e capetti.

 

Chi ha redatto la proposta ha inserito le competenze, l’esperienza e persino i settori di specializzazione dei singoli magistrati che possono fare domanda per diventare, ad esempio, numeri uno di una procura. Sono in pratica degli indicatori oggettivi, che permetterebbero una selezione più “virtuosa” della classe dirigente della nostra magistratura. Non solo. C’è anche una parte dedicata alla valorizzazione delle donne magistrato. Ma sono “riforme” che cozzano con una magistratura che in questi anni si è distinta tra vecchi e nuovi conservatori, più che mai legata alle logiche correntizie, in guerra ormai da quasi vent’anni, sia all'interno sia all'esterno. Dai tempi di Tangentopoli fino all’eterna battaglia, ancora in corso, con l’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. 

 

Si tratta di una riforma interna di non poco conto, insomma, perché potrebbe modificare per sempre gli equilibri di selezioni di chi guiderà la magistratura italiana nei prossimi anni. Ma oltre a una certa diffidenza da parte delle toghe più conservatrici, c’è un problema di tempi. Se il documento non venisse approvato entro il 31 luglio, le prossime nomine si faranno ancora come una volta, con l’assegnazione talvolta chirurgica dei posti in base all’appartenenza alle varie correnti.

 

I tempi sono importati. E’ questo il vero nodo da risolvere. Perché tocca da vicino quella sfida sotterranea in corso da mesi nella magistratura dopo la riforma della pubblica amministrazione voluta dal governo di Matteo Renzi lo scorso anno. Quel decreto Madia che con un semplice articolo (“Disposizioni per il ricambio generazionale nelle pubbliche amministrazioni”) ha portato al prepensionamento di quasi 400 magistrati solo nel 2015. E che dovrebbe rottamarne altri 900 entro il 2018. L’ultimo in ordine di tempo ad andarsene è stato Edmondo Bruti Liberati, storico esponente di Magistratura Democratica, che abbandonerà la procura di Milano il 16 novembre di quest’anno, dopo due anni di polemiche e contrasti con l’aggiunto Alfredo Robledo.  

 

[**Video_box_2**]Milano è sempre stata una fotografia perfetta per spiegare la spartizione delle correnti, dal momento che il Palazzaccio è dai tempi di Mani Pulite un avamposto delle toghe rosse. Nella procura milanese è in arrivo però il nuovo procuratore generale Roberto Alfonso, di Mi, la stessa di Robledo. Siciliano, ha lasciato Bologna non senza polemiche, denunciando l’omertà con un certo “sistema” politico e amministrativo, che si sarebbe autoprotetto in Emilia Romagna in questi anni. “Ho la sensazione” ha spiegato “che non ci sia stata collaborazione. Non abbiamo mai avuto una persona che sia venuta in Procura a raccontare, diversamente da quanto avvenuto in altri uffici del Paese. Sarebbe stato utile avere qualcuno che, ad un certo punto, parlasse e raccontasse se c’è un sistema che non funziona, corruttivo”. Alfonso arriva in una procura di Milano dilaniata dalle guerre intestine e soprattutto dalle pesanti accuse che furono mosse a Bruti Liberati per aver privilegiato alcune inchieste invece di altre. Ora il procuratore capo dovrà essere sostituito. E il tribunale di Milano fa gola a molti, soprattutto alle vecchie correnti e alle vecchie logiche di una magistratura che troppo spesso non ha voluto cambiare.

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