(foto Ansa)

Piccola posta

Chiedere tregua a una democrazia è lecito, chiederlo a Hamas è retorica

Adriano Sofri

Il gruppo terrorista non ha una personalità giuridica né umana né morale che ci permetta di richiamarla a un qualche dovere. È fuori legge. Noi no

Caro direttore, caro fondatore: “stare dalla parte giusta” è un proposito sufficiente a rimuovere la domanda sui mezzi ingiusti? Il dolore e la ribellione alla portata della distruzione di Gaza è il frutto di “uno spirito umanitario lontano da ogni vera umanità”? Rimuovete l’obiezione di coscienza imputandola a un compiaciuto o inconsapevole antisemitismo: “gli unici ebrei buoni sono quelli morti”. Che cosa dite a chi gli ebrei li ami morti e vivi, a chi difenda l’esistenza di Israele, a chi – come tanti israeliani, come tanti ebrei – la senta minacciata irreparabilmente dallo zelo della punizione “senza risparmio”?

A ribadire la vostra posizione, ieri avete citato il rigore del senatore democratico John Fetterman: “Se avete intenzione di protestare chiedendo un cessate il fuoco, perché non chiedete invece che gli ostaggi siano riportati a casa? Perché non chiedete a Hamas di arrendersi?”. Io penso che l’inversione della richiesta di interrompere o cessare il fuoco, rivolta al governo israeliano da tanta parte del mondo, per rivolgerla a Hamas: Cessate voi il fuoco, sgherri di Hamas, disarmatevi voi, liberate senza condizioni tutti gli ostaggi! sia una risorsa retorica. La retorica vuole la sua parte, infatti. Dunque serve a ribadire, per chi l’avesse dimenticato strada facendo, o ad ammonire, chi l’avesse omesso dal vero principio, che all’origine del disastro corrente, del passaggio di qualità del conflitto palestinese-israeliano, c’è l’impresa ripugnante e sadica degli specialisti di Hamas e di loro euforici tifosi. Terrorismo e crimini di pace e di guerra hanno un lungo e fitto catalogo in quel conflitto. Ma il 7 ottobre ha perfezionato i precedenti fino al punto di ostacolare e ritardare il riconoscimento pieno dell’efferatezza da parte delle stesse autorità israeliane, come per il dolorosissimo e rivelatore capitolo delle violenze sessuali. Qualcuno ha ammonito che, per adeguarsi alla portata della razzia del 7 ottobre, occorresse chiamarne gli autori “terroristi”, e chiamare “terrorista” Hamas: ma la qualifica di terrorismo è qui un eufemismo. La brutalità degli incursori del 7 ottobre, la violazione sadica e intima dei giovani del rave e delle famiglie dei kibbutz e dei loro animali domestici, non mirava ad accrescere a dismisura lo spavento e l’intimidazione dei “nemici”, ma realizzava una fame e una sete di sangue e viscere e organi genitali e membra fine a se stessa, paga di se stessa. E’ dura da ammettere, ma si può arrivare a rimpiangere un terrorismo che si accontenti di restare tale. Solo per questo, cruciale, aspetto, è stato appropriato chiamare “pogrom” l’impresa. Nel pogrom (la parola vuol dire una “devastazione”, e si specializza per significare distruzione e saccheggio contro gli ebrei) gli autori, insieme esaltati e istigati, aggrediscono gli ebrei in cui vedono il dominio del denaro e dell’usura, e il retaggio dell’assassinio di Cristo, così da scambiare per una rivolta vendicatrice quella che è in realtà la sopraffazione della maggioranza, armata e assecondata dalla forza pubblica contro una minoranza inerme e discriminata. Guardatele, le immagini dei pogrom, delle donne trascinate. Nel pogrom la componente della violenza sessuale è essenziale, ed è la manifestazione fisicamente esplicita della frustrazione sessuale che sta al cuore dell’antisemitismo, appena mascherata dall’ossessione del denaro. Il 7 ottobre l’ha orribilmente confermato.

Ma proprio per questo, l’inversione – cessate il fuoco voi, Hamas, disarmate, restituite gli ostaggi senza condizioni! – è solo un ricorso retorico. Mi perdoni Paola Caridi, ma Hamas ora non è un interlocutore, se non per l’eccezione dello stato di necessità. E’ un interlocutore solo come lo è il sequestratore di persona che ti è entrato in casa e tiene sotto tiro i bambini: si può concedergli tutto, cedere su tutto, umiliarsi e mortificarsi fino all’abiezione – digrignando i denti. Solo per salvare, e la punizione verrà poi, se, com’è giusto, verrà. Hamas è per definizione tetragono alla pressione del sentimento umano. Può cedere solo alla pressione eventuale del suo pagatore. Israele invece è, fino a prova contraria, un paese democratico (la prova contraria è già venuta?). E’ comunque uno stato che si pretende democratico. E’ dunque un interlocutore dei pensieri e dei sentimenti della gente del mondo. A Israele, e al suo malandato governo, si chiede di interrompere o cessare il fuoco, perché una democrazia rispetta sentimenti e convinzioni delle persone. Persone e governi di tutto il mondo hanno avanzato questa richiesta concreta, non retorica. Netanyahu ha fatto e sta facendo di tutto, oltre ogni misura, per mostrare di non essere un interlocutore. Di fare dell’invocazione di tanta parte del mondo un appello retorico e frustrato.

Per la stessa ragione, argomentata fin dai primi giorni dell’offensiva su Gaza, è inutile dire e ripetere che di ogni morte, ogni ferita, ogni demolizione di Gaza è responsabile Hamas (Hamas, oltretutto, ci banchetta sopra). Hamas non ha una personalità giuridica né umana né morale che ci permetta di richiamarla a un qualche dovere. E’ fuori legge. Noi no. Noi, come dice la vera umanità, e poi il Diritto internazionale, siamo i responsabili di vita e dignità della gente del nostro nemico.

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