(foto EPA)

L'editoriale del direttore

Elogio di un senatore di sinistra che su Israele è un esempio per il mondo

Claudio Cerasa

Si chiama John Fetterman, è americano, è un vaccino contro il metodo Guterres, sa cosa vuol dire essere dalla parte giusta della storia e sa che differenza c’è tra chiedere un cessate il fuoco anche a Israele e chiederlo invece solo a Hamas

Difende Israele senza se e senza ma e senza paura di farlo anche in questi giorni. Attacca senza timore ogni forma di antisemitismo anche quando le forme si presentano con violenza di fronte ai suoi occhi. Ricorda ogni giorno che per interrompere la guerra in medio oriente il modo più efficace è chiedere a Hamas di liberare Gaza. Chiede alla comunità internazionale di chiedere un cessate il fuoco a Hamas, non a Israele. E quando può, cioè più o meno ogni giorno, sfida a viso aperto, dall’alto dei suoi 205 centimetri, tutti coloro che provano a convincerlo che non è possibile essere democratici  e sostenitori indefessi della difesa di Israele. Siamo pazzi di John Fetterman, si può dire? John Fetterman, lo conoscerete, è un politico straordinario. E’ un esponente del Partito democratico, è un senatore della Pennsylvania dal 2023, è stato vicegovernatore della Pennsylvania dal 2019, è stato sindaco di Braddock dal 2006 al 2019 e nel 2022 è diventato famoso per aver sconfitto il repubblicano Mehmet Oz, per la corsa a un seggio del Senato, dopo avere avuto un ictus.

 

E’ finito nuovamente al centro delle cronache, mesi dopo, per aver confessato una sua depressione profonda, ora parzialmente superata. Oggi, John Fetterman, 54 anni, non ebreo, cresciuto in una famiglia benestante a York, nella Pennsylvania centro-meridionale, studi di finanza all’Albright College, un MBA presso l’Università del Connecticut, sulla buona strada da giovane per diventare come suo padre, un dirigente nel settore assicurativo, è uno dei pochi politici americani di sinistra che parla di Israele senza iscriversi al partito del però. Si difende Israele: punto. Si tutela il diritto di un popolo a difendersi, a esistere, a reagire, a portare avanti la sua campagna di liberazione dal terrorismo di Hamas.

 

Peter Savodnik, redattore capo della Free Press guidata da Bari Weiss, ex giornalista di Vanity Fair, GQ, Harper’s, The Atlantic, The Guardian, Wired, ha scritto giorni fa un articolo formidabile per chiedere scusa al senatore. Lo aveva sottovalutato, dice. Lo aveva considerato come un finto duro, come una macchietta moralista. E invece, scrive Savodnik, Fetterman, su Israele, si è “elevato al di sopra della grossolanità e della confusione della folla, affermando chiaramente ciò che dovrebbe essere chiaro: delimitando un terreno morale, rifiutandosi di piegarsi”.

A fine ottobre, ha tappezzato il suo ufficio al Senato con i manifesti con i nomi e i volti degli ostaggi tenuti da Hamas. Il 20 novembre ha insistito affinché gli aiuti militari a Israele non fossero subordinati ad alcuna condizione. A dicembre ha detto che “Israele ha il diritto, ma penso anche che abbia l’imperativo, di distruggere Hamas”. Sempre a dicembre, quando alcuni manifestanti infuriati si sono radunati con le bandiere palestinesi davanti a un ristorante israeliano di Filadelfia dove si trovava, ha ricordato che i ragazzi “potrebbero manifestare contro Hamas” e ha suggerito ai manifestanti, la prossima volta, di “protestare contro lo stupro sistematico di donne e ragazze israeliane da parte di Hamas o chiedere l’immediato rilascio degli ostaggi rimasti invece di prendere di mira un ristorante ebraico mostrando un antisemitismo patetico e rancoroso”. A febbraio ha criticato duramente Harvard per aver ospitato un professore che ha incolpato Israele per gli attacchi di Hamas del 7 ottobre, dicendo di essere “veramente sconvolto” dal fatto che l’università abbia sostenuto Dalal Saeb Iriqat dopo che la suddetta signora aveva rilasciato dichiarazioni in cui veniva minimizzato l’attacco di Hamas a Israele e in cui si incolpava il governo israeliano per lo spargimento di sangue. “Sono – ha detto Fetterman – davvero sconvolto che [Harvard] possa sostenere un individuo che celebra e giustifica l’uccisione di cittadini israeliani da parte di Hamas il 7 ottobre: neonati, bambini, anziani e lo stupro, la mutilazione e la tortura sistematica di giovani ragazze e donne”. Tenete presente, dice ancora Savodnik, che nessuna di queste cose – inveire contro l’omicidio di donne e bambini, chiedere il rilascio di ostaggi non combattenti, ridicolizzare i politici per la loro fiducia in un’organizzazione terroristica – sarebbe normalmente così notevole, ma ci troviamo in un momento strano, terribile, consumato dall’offuscamento e dalla doppiezza, un momento in cui molti dei responsabili hanno difficoltà apparentemente impossibili ad affermare verità ovvie come non si dovrebbero decapitare i bambini, uccidere intenzionalmente i non combattenti è peggio che ucciderli accidentalmente.

 

Verità ovvie come quelle che Fetterman ha ricordato pochi giorni fa: “Se avete intenzione di protestare chiedendo un cessate il fuoco, perché non chiedete invece che gli ostaggi siano riportati a casa? Perché non chiedete a Hamas di arrendersi? Perché non capite che tutta la morte, i traumi e i danni si fermerebbero in un istante di fronte alla distruzione di Hamas? Perché non vi è chiaro che fino a quando Hamas non sarà effettivamente neutralizzato, non si potrà mai sostenere un cessate il fuoco e che finché tutti gli ostaggi non saranno riportati a casa non si potrà chiedere a Israele di fermarsi?”. “Il mio lavoro come senatore – ha detto ancora Fetterman – è essere dalla parte giusta della storia. E dopo quello che è successo, soprattutto dopo il 7 ottobre, c’è davvero solo una parte chiara ed è quella con Israele”. Difendere Israele da sinistra e difendere i palestinesi ostaggio del terrore senza essere complici dei terroristi è possibile. Basta solo scegliere da che parte stare. Basta solo ricordarsi chi difende il terrore e chi difende la democrazia. Pazzi di Fetterman, si può dire?

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.