(foto Ansa)

Piccola posta

Cosa possono riconoscere i giudici dell'Aia e cosa può davvero sperare Israele

Adriano Sofri

La posta in gioco nel processo alla Corte internazionale di giustizia

Ci fu un gran daffare attorno al disegno di mostrare l’invasione russa dell’Ucraina come il frutto di machiavellici “precedenti” antirussi dell’occidente e dell’Ucraina stessa. I precedenti reali andavano nella direzione opposta, basta ricordare il Memorandum di Budapest (1994, tra Russia, Stati Uniti, Regno Unito e Ucraina), col quale l’Ucraina trasferiva alla Russia il proprio magazzino di armi nucleari, il terzo al mondo!, in cambio dell’assicurazione del rispetto della propria integrità territoriale entro i confini del tempo. Assicurazione impunemente violata già nel 2014 dall’occupazione russa della Crimea. Per colmo d’impudenza, l’aggressione all’Ucraina ha dato alla Russia il pretesto per risuscitare la minaccia dell’impiego dell’arma nucleare – ritornello che continua a risuonare dal Cremlino. Tutto quel gran daffare servile non ha scalfito l’evidenza dell’aggressione russa “non provocata” – o con sinonimi come non giustificata, non motivata – all’Ucraina.

Questo segna una differenza radicale, incolmabile, fra la guerra mossa dalla Russia di Putin all’Ucraina e quella mossa da Israele contro Hamas a Gaza. Anche israeliani e palestinesi sono carichi, sovraccarichi, di “precedenti”, ma la qualità e la portata della razzia di Hamas il 7 ottobre li eccedeva e imponeva un nuovo terreno al conflitto. Ieri questo giornale ha pubblicato una documentazione di fotografie e video dal 7 ottobre che qualunque cittadina e cittadino adulto del mondo dovrebbe guardare. E’ impensabile e anzi oltraggioso che la reazione di Israele alla ferita terribile del 7 ottobre sia definita “non provocata” – o con sinonimi. Ma il punto è qui: la differenza, enorme com’è, può giustificare che Israele ricorra a Gaza a un impiego della potenza militare smisurato, e paragonabile a quello attuato da due anni dalla Russia in Ucraina?

Penso che bisogni vedere le cose per quello che sono, e dar loro il nome che meritano. Lo penso per una ragione morale, cioè precedente a qualunque considerazione di convenienza e di efficacia materiale, che pure ha una sua evidenza. Putin dovrà vedersela con un tribunale penale se la guerra che ha scatenato non si concluderà con premiando la sua violenza. Israele è chiamata al giudizio di un tribunale internazionale competente per il genocidio, il crimine più grave e infamante. Anche qui risalta una differenza essenziale, perché Israele accetta di sottoporsi al giudizio, e lo ha fatto oltretutto nominando un proprio giudice – che sarà tenuto all’imparzialità di tutta la corte – la cui biografia personale e istituzionale è degna del più grande rispetto. Tuttavia, benché la ferita mortale del 7 ottobre abbia così largamente (benché non interamente) indotto tanti israeliani a non misurare la qualità e la portata della risposta e a non sentirvi se non una legittima difesa, l’imputazione mossa dal Sudafrica col sostegno di altri stati non è priva di fondamento. L’estrema destra che è stata ed è ancora una componente cruciale del governo di Netanyahu, e la sua risorsa vitale nei mesi che hanno preceduto e propiziato la catastrofe del 7 ottobre, ha sfidato con atti e con parole compiaciutamente razziste e spietate il criterio che definisce il genocidio. Quella estrema destra non è Israele, ed è nelle attese della maggioranza destinata a rientrare nei ranghi dell’opposizione, ma l’intera mole dell’attacco a Gaza, l’entità e l’indistinzione dei bombardamenti, il cecchinaggio, il numero immane di morti e feriti, la costrizione ai movimenti disperati e terrorizzati della popolazione, la condizione sanitaria e quella fisica, la fame, il freddo, la mortificazione, l’umiliazione, non potrebbero essere trattati da alcun tribunale fondato sul diritto internazionale e sul diritto di guerra se non come un abuso della forza proporzionata e una catena metodica di crimini di guerra.

I giudici dell’Aia potranno riconoscere a Israele la mancanza, cioè la mancanza nella parte decisiva del suo stato e del suo governo, di un’intenzione genocida, ed è sperabile che succeda. Ma è il risultato massimo cui la dirigenza di Israele può mirare. La pretesa di Netanyahu – l’accusa di genocidio intentata contro Israele è “il mondo alla rovescia” – è un auto-inganno, se non peggio.

Penso questo, con l’intero amore che sento per il diritto alla vita di Israele – e la posta in gioco è senz’altro questa.

In appendice, la conduzione della guerra a Gaza agisce, con l’intera vicissitudine inaugurata dal 7 ottobre (e del resto non per caso), come un enorme vantaggio offerto alla Russia e alla sua conduzione della guerra all’Ucraina, di ieri e di oggi.

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