PICCOLA POSTA

È violenza, difendendosi o meno con i denti da un rapporto orale. Un'ovvietà a processo

Adriano Sofri

Sulla domanda che un’avvocata difensora in un'udienza per stupro in corso a Tempio Pausania ha rivolto alla giovane accusatrice, ho un argomento che non ho visto avanzare sui social e in televisione

Su una domanda che un’avvocata difensora al processo per stupro in corso a Tempio Pausania ha rivolto alla giovane accusatrice, ho un argomento che non ho visto avanzare. (Ma la mia rassegna delle reazioni sui giornali, sui social e in radio e tv, è parzialissima, e anche così ne ho abbastanza). Devo presumere che la domanda cui mi riferisco – “Perché non ha reagito coi denti durante il rapporto orale?” – sia stata effettivamente posta, come assicurano gli articoli che leggo. I quali, anzi, le allegano una dichiarazione della medesima avvocata: “Non le ho chiesto niente che non le fosse già stato chiesto”. E che apre un adescante squarcio sull’itinerario precedente dell’indagine, che conta quattro anni e mezzo dai fatti. Quattro anni e mezzo lungo i quali si deve immaginare che carabinieri o altre e altri agenti di polizia, magistrati successivi ed eventuali altre figure professionali pertinenti, abbiano chiesto alla giovane donna, che ha 23 anni e ne aveva meno di 19, con formule verosimilmente variabili ma con la sostanza immutata, come mai non avesse morso il cazzo dell’accusato. Si può dire che lei sia cresciuta con la domanda. 

Si è giustamente obiettato che la domanda è dimostrata impropria da una corposa consapevolezza neuroscientifica della condizione in cui paura, vergogna, sbigottimento, dissociazione da sé, immobilizzazione e così via, gettano la vittima della violenza. 

Ma ecco il mio argomento. Nell’amministrazione della giustizia, quella fondata sui precedenti ma anche quella fondata su leggi codificate, la casistica ha un peso determinante. Ora: in quanti casi processati e definitivamente passati in condanne per stupro, la vittima donna ha morso il cazzo dello stupratore uomo? (Una digressione, per ricordare il caso Bobbitt. Giusto vent’anni fa Lorena, moglie di John Wayne /!/ Bobbitt, dopo un ennesimo abuso, gli tagliò il pene e montò in auto per andare a buttarlo via dal finestrino. La polizia riuscì a trovarlo e a farlo riattaccare alla meglio all’uomo. Caso celebre, cercate su Wikipedia, se non avete l’età. Comunque, la donna aveva eseguito l’amputazione sul marito che dormiva pesantemente). 

Torniamo: in quanti casi processati e definitivamente passati in condanne per stupro che comprendesse un “rapporto orale”, la vittima donna ha morso il cazzo dello stupratore uomo? Direi nessuno, a occhio e croce. Anche se ne scovassero due o tre, sarebbe irrilevante rispetto alla miriade di stupri. Questo vuol dire che, se dalla donna che subisce una violenza sessuale spinta fino al “rapporto orale” (graziosa formula) è lecito e anzi doveroso aspettarsi che se ne difenda coi denti, nessun simile stupro è mai realmente avvenuto. L’argomento comporta tre conseguenze.

La prima riguarda l’avvocata, che avrebbe dichiarato – lo riporta anche l’affidabile Giusi Fasano sul Corriere: “Mi creda, non si può obbligare una donna ad avere un rapporto orale – e non specifico come possa difendersi – a meno che non abbia una pistola puntata”. Se ha dichiarato questo, ha mostrato di voler annullare ogni stupro riconosciuto in cui sia intervenuto il “rapporto orale”. Bel colpo. La seconda conseguenza riguarda la Corte. L’avvocata riferisce che il presidente e il collegio giudicante le hanno manifestato la propria solidarietà contro minacce e insulti: hanno fatto benissimo. Ma avevano fatto malissimo ad ammettere la domanda sui denti. Che non se l’aspettassero, o che vogliano ostentare di accogliere senza riserve le difese in un caso così pubblico e pubblicitario (e irrisoriamente “a porte chiuse”), hanno sbagliato. La domanda era assurda, andava cassata. La terza conseguenza riguarda avvocati, magistrati, opinione pubblica e mezzo mondo. Riguarda un’immaginazione che estrae il “rapporto orale” dal resto dei rapporti sessuali, s’imbambola alla anatomica ovvietà che la posizione rispettiva – il cazzo, la bocca, la chiostra di denti – preveda solo due esiti: la partecipazione consensuale, o il morso castigatore. Mezzo mondo che, non stanco e anzi meglio addestrato dagli hub del porno e dalla prevalenza del “rapporto orale” – compreso quello imposto, avvocata – si bea del paesaggio. Sono tre modi come altri per rendere pressoché superfluo – ultroneo, dicono in tribunale – il problema originario, del fatto e delle sue prove, sufficienti o no. 

Di più su questi argomenti: