Piccola posta 

Dichiararsi estranea al femminismo "di oggi" non spiega però la violenza

Adriano Sofri

Contrappunto a un intervento di Paola Mastrocola sulla Stampa di domenica: come abolire le discriminazioni, invece che soltanto le differenze

Sulla Stampa di domenica Paola Mastrocola si dichiara estranea al femminismo “oggi dominante sui media”, e “turbata dal dibattito in corso, dai toni perentori, dalle idee agguerrite e monolitiche”. Per definizione, non ho obiezioni alla sua posizione di donna. Lei peraltro rivendica di sentirsi “soltanto un essere umano, che per caso è nata femmina, così come per caso è nata a Torino”. Se non ammettessi uno stupore, e la prendessi alla lettera (ma “la lettera uccide”) sarei autorizzato a discutere l’intera sua argomentazione senza considerare che “per caso nacqui maschio, così come per caso nacqui a Trieste”. Lo stupore viene dal fatto che il caso fa nascere gli esseri umani come uomini e donne, supposti bianchi o supposti neri, albini o no, e perfino ebrei e no (si nasce ebrei, se non per sé, per gli antisemiti), ma una volta che la cosa è successa comporta una sequela di conseguenze impegnative, fino alla vita e la morte. Così formulata, la cosa sembra abolire le differenze, non le discriminazioni. Le discriminazioni non sono mai finite, anzi!, e finalmente si è smesso di inseguire l’assimilazione, e si sono rivendicate le differenze.

   

Mastrocola parla anche per gli uomini. Ma com’è possibile che abbia scambiato anche lei, filologa, una figura retorica per una statistica? Si chiede come debbano sentirsi le donne che “di colpo, da ogni parte e in ogni momento del giorno da quindici giorni sentono dire che tutti i maschi sono corresponsabili della morte di Giulia Cecchettin, e potenzialmente portatori di una violenza che è in loro da sempre… e si trovano improvvisamente di fronte a uomini che corrono a professarsi femministi, a fare mea culpa, a dirsi corresponsabili di ogni crimine per il solo fatto di essere maschi. (Trovo strabiliante questa autoflagellazione maschile collettiva…)”.  È probabile che Mastrocola sopravvaluti l’autoflagellazione – che peraltro dice “limitata agli ambienti intellettuali” – e sottovaluti la reazione indignata e offesa degli uomini che sulla stampa e sui social hanno protestato con la parola d’ordine “Non tutti gli uomini”. “Non tutti gli uomini uccidono le donne”: frase che, avevo scritto, è peggio che falsa, è imbecille. Dal momento che gli uomini che uccidono donne in Italia sono, all’ingrosso, 1 (uno) su 500.000 (cinquecentomila), l’impulso a smentirla è perlomeno ridicolo.

   

Io non sono femminista, sono maschio, e maschilista – molto controllato, grazie all’età e alle lezioni. Dei femminismi sono un utente grato, invece. Uno cui si è aperto un mondo. E contemporaneamente, uno che non si dava ragione del fatto che tante donne vivessero – vivano – in quella soggezione, in quella paura, in quel silenzio.

 

Tanti anni fa, in un dibattito pubblico, Michela Murgia mi chiese perché, uomo, prendessi a cuore la questione. Perché sono uomini a uccidere donne, risposi piuttosto ovviamente. Non può essere “un caso”. Tanto più che c’è la controprova: Mastrocola scrive di “antagonismo armato”, ma non ci sono ancora donne che uccidono gli uomini in quanto uomini, benché li abbiano avuti addosso come nemici, e anche nemici mortali.

 

Non in ogni uomo si annida un femminicida. Ma in ogni uomo si annida qualcosa che gli permette, se appena voglia, di capire che cosa spinga qualche suo simile ad arrivare a uccidere “la sua donna” – o, variante tuttora ignorata sulla quale richiamo da decenni, a uccidere una “donna di nessuno, cioè di tutti”, “res nullius”, come la selvaggina di un tempo, quella del trafiletto “Uccisa prostituta nigeriana”… La nostra società ha sopportato trasformazioni inaudite nei comportamenti sessuali. Ma la libertà del costume collettivo non coincide con i moti delle coscienze private, e la rapidità dei mutamenti lascia indietro il singolo uomo “antiquato”. E questo non riguarda solo né tanto la parte più anziana della popolazione maschile – e una buona parte della popolazione femminile anziana si rivela spesso più aperta. C’è un maschilismo di ritorno, così sulla scala di un paese come il nostro, dove la liberazione è sempre più un fatto compiuto, come su quella mondiale, dove è comunque un fatto di cui è arrivata notizia, e che occorre prevenire stringendo le catene. (Quelle che i proletari di tutto il mondo hanno da perdere, ma solo dopo che abbiano perso le donne).

  

Da chi imparano soprattutto oggi i ragazzi maschi. Dalla pornografia, e dagli amici più grandi. Gli amici più grandi vantano ancora di “saperci fare”, e millantano record da domatori. Questo non è cambiato molto, rispetto a generazioni arcaiche come la mia. Per alcuni aspetti è peggiorato. La liberazione di desideri femminili che comportino un grado, controllato, revocabile, di sottomissione, accentua il pregiudizio maschile: “Se l’è cercata”. Il ragazzo più grande, che abbia le tasche vuote o appena fornite, continua a insegnare che lei “Dice No ma vuol dire Sì”, e milioni di porno gratuiti e accessibili a tutti lo mettono in scena. C’è, nel rapporto fra uomo e donna – anche dopo che la gamma delle vocazioni sessuali si è andata ampliando e variegando – una disparità, che conferma l’antica sensazione maschile di un’incomparabile inferiorità della propria riserva sessuale. Il singolo uomo, quello antiquato e renitente, è ferito dalla scoperta di un piacere femminile che non gli è riservato, che non può debellare e dominare neanche facendo appello all’amore. Lo stupro è una miserabile rivalsa su questa che è sentita come un’umiliazione. In altri mondi, più appartati ed esclusi dal progresso, dove la civiltà patriarcale ha avuto occasione di resistere e procurarsi larga complicità nelle donne adulte e mature, il patriarcalismo sa tagliare corto con questa minaccia: spacciandola per una prescrizione religiosa, si dedica scrupolosamente a mutilare le bambine, mutando in strumenti di dolore e anche di morte una fonte di piacere renitente al comando

 

Nei luoghi in cui la donna rivendica, con la propria libertà, il proprio piacere, l’insofferenza maschile per la sua duttilità, la sua ribellione all’esclusività – la gelosia è il primo e fondante dei sentimenti proprietari: dev’essere mia, non deve provare amore né piacere con altri, e il modo per impedirglielo è tenerla prigioniera, fisicamente o economicamente o psicologicamente – e, all’estremo, il punto estremo di quella trafila, ucciderla. Non sarà di nessun altro. Dicono che abbia detto così lo scellerato insulso assassino di Giulia, e magari pensa che gli sia successa una cosa speciale: gli sia “scattata”.

 
Una ragazza può aver voglia di dire “sono tua”, ma la condizione è che l’offerta sia revocabile in qualunque momento. Non è davvero tua. Né tua né di altri: è sua. Il comandamento prosciugato dice: non desiderare la donna d’altri. Subito prima della roba. Il comandamento era lungimirante, fatto da uomini maschi, da un Dio maschio, sapeva che una donna è tanto più desiderabile quanto più è desiderata da altri, e ad altri può essere portata via – e farsene belli. Non dice: non desiderare l’uomo d’altre, perché l’uomo è suo proprio, per definizione, e perché basta la prima metà: Non desiderare. La donna che desidera è una mignotta, direbbe bene Paola Cortellesi.

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