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Dostoevskij, Orwell e la Russia che non vuol far fare a due più due quattro

Adriano Sofri

Ignoranza del bene o libera scelta: l’eterna contesa sul male. Ogni tanto i demagoghi non si presentano promettendo il bene, per poi tradire le promesse, ma promettendo direttamente il male

Leggevo ieri l’unico romanzo di Hans Sahl (1902-1993), “I pochi e i molti”, uscito nel 1959, appena tradotto nella Memoria Sellerio. E’ la storia parallela dell’autore e di Georg Kobbe, ebreo tedesco, braccato, resistente e poi fuoruscito a New York. Ero a pag. 106, alla descrizione dell’“uomo con l’impermeabile” – un altro nome per l’Imbianchino di Brecht. Erano in tanti, dice, a non credere al suo successo. “Avevano disimparato a credere alla magia che lega il truffato all’impostore, l’oppresso all’oppressore… Ridevano degli impermeabili, e non capivano che era diventata l’uniforme di una nuova classe di diseredati che si apprestava a riformare il mondo a propria immagine. ‘Lasciateli ridere!’ gridava l’ometto. ‘Io gli strapperò via la maschera. Annuncerò una religione del male, come Cristo annunciò una religione del bene. Gli mostrerò che i cattivi sono buoni e i corrotti corrotti. E i buoni e i giusti li prenderò a bastonate…”. ‘Heil!’, gridavano gli impermeabili. ‘Dobbiamo essere come sei tu. il nostro tempo sta arrivando!”.

Ogni tanto infatti i demagoghi non si presentano promettendo il bene, per poi tradire bestialmente le promesse, ma promettendo il male: e osservando la promessa. Ieri leggevo anche il Buongiorno di Mattia Feltri sulla Stampa, intitolato “2+2=5”. Cominciava con Vladimir Kara-Murza, deportato in un gulag con una condanna a 25 anni per aver maledetto la guerra all’Ucraina. “Un giorno in Russia 2+2 tornerà a fare 4”, aveva detto nel processo. Forse si riferiva, dice Feltri, al protagonista di “1984” di Orwell, che il torturatore vuole costringere a riconoscere che 2+2 può fare 3 o 5.

Vecchia storia quella del 2+2, e della sua vicissitudine. La voce di Wikip “2+2=5” la riassume, e riproduce il manifesto sovietico sul Piano Quinquennale del 1931 che dichiarava: “2 + 2 più l’entusiasmo degli operai = 5”. Un capitolo rilevante riguarda Dostoevskij, che ne trattò largamente nell’Uomo del sottosuolo, e qua e là altrove. Per lui, che menzionava i logaritmi e non ancora gli algoritmi, il 2+2=4 era il principio opposto alla vita: “Sono d’accordo che il due per due quattro sia una cosa eccellente; ma se bisogna proprio tessere delle lodi, allora anche il due per due cinque è talvolta una cosetta proprio graziosa”. Dostoevskij se la prendeva con le pretese dispotiche del raziocinio e rivendicava la parte decisiva che la libertà e anche l’arbitrio e il capriccio si prendono nei comportamenti umani. Oggi, quando la matematica putiniana applicata a Kara-Murza non fa né 4 né 5 ma 25, succede a Dostoevskij di essere chiamato a rendere conto della piega che presero un secolo e mezzo fa i suoi pensieri. Questione importante, ma ora mi sembra più importante la sua relazione col modo in cui Dostoevskij considerò il problema del bene e del male, e della colpa. Egli si impegnò strenuamente contro le idee, di volta in volta definite progressiste, nichiliste, liberali o socialiste, che gli sembravano attribuire alla società l’intera responsabilità dei delitti, esonerandone gli individui. Nell’eterna contesa fra chi pensa che il male sia una conoscenza insufficiente del bene e chi lo ritiene frutto di una libera scelta, fra Socrate e l’evangelista Giovanni, Dostoevskij stava dalla seconda parte. “E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce” (Giov., III, 19), come nell’epigrafe di Leopardi alla Ginestra. Il punto è piuttosto decisivo per la sorte delle prigioni e dei loro abitatori (e abitatrici, pochissime, troppe). Sul punto mi sono fatto un’idea, non tanto per una riflessione morale, quanto per un’esperienza ormai vasta. Ai carcerieri, di qualunque genere – accusatori, giudici, funzionari penitenziari di ogni ordine e grado, preti, medici e psicologi eccetera, una categoria smisurata – fa molto bene ricordarsi che la società ha una responsabilità grandissima sopra pensieri, desideri e azioni di chi viola la legge. All’opposto, i carcerati e coloro che si trovano in condizioni affini, compresi i malati di mente (largamente coincidono) tendono piuttosto a riconoscere una propria responsabilità, perché è la loro unica libertà, e, nonostanti i luoghi comuni, tendono a sentirsi offesi quando quella responsabilità venga loro sottratta. Dunque: socratici da garanti, giovannei da detenuti. (E ora vediamoli, i nuovi garanti).

P.S. Nel 1949 Orwell, certo senza aver visto quel manifesto sovietico, scriveva in “1984”: “Se il partito dicesse che due più due fa cinque, e prima o poi lo farà, dovremmo crederlo”. Ha concluso Mattia Feltri: “La Russia è un posto in cui 2+2 continua a non fare 4, e pure qui in Italia, per dissimulati sostenitori di Putin, può fare 3 o 5, dipende”.

Pp.Ss. Per un difetto tipografico famoso, ma di cui nessuno si era accorto per decenni, le edizioni di “1984” dal 1951 non riportavano il “5”, sicché nell’ultimo capitolo si leggeva: “2+2=”. Uguale a che? Boh!