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I testi di Vešović sono i più importanti che siano stati creati sullo sfondo della guerra in Bosnia

Adriano Sofri

Era nato in Montenegro nel 1945, ha vissuto a Sarajevo, vi è morto tre giorni fa. Aveva vissuto l'assedio della città e alcuni suoi testi sono gemme letterarie di un valore senza tempo

Marko Vešović è stato un traditore di nazioni, amicizie mutate in consorterie, cordate letterarie: un traditore di tutto, tranne se stesso e la propria coscienza, la poesia, e quello che si chiama umanità. Era nato in Montenegro nel 1945, ha vissuto a Sarajevo, vi è morto tre giorni fa. Della sua sterminata produzione poetica, letteraria e giornalistica, in Italia si è conosciuta soprattutto la raccolta intitolata “Chiedo scusa se vi parlo di Sarajevo” (Sperling e Kupfer, 1996), il cui formidabile titolo originale era “La morte è un capomastro della Serbia”, calco di un verso di Celan dalla “Fuga di morte”.

In un bellissimo saggio di dieci anni fa, Miljenko Jergović, il poeta, sceneggiatore e scrittore delle “Marlboro di Sarajevo”, scrisse di Vešović: “Durante la guerra, nel 1994, pubblicò un libro di testi di generi molto diversi, intitolato ‘La morte è un capomastro della Serbia’, che pubblicò giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, ovunque, su giornali e riviste. Alcuni sono gemme letterarie di un valore senza tempo, i testi più importanti che siano stati creati sullo sfondo della guerra in Bosnia. Altri sono documenti dei più attendibili e rilevanti sulle persone, sulla vita sotto assedio, e sul modo in cui la città se ne difendeva. Ci sono ritratti preziosi, personaggi dell’una e dell’altra parte del fronte, scontri feroci e spietati con ex amici...”. Noi che abbiamo vissuto l’assedio di Sarajevo, diceva Vešović, non ne caveremo nessun profitto. “Quell’esperienza non ci servirà a nulla: / come se avessi perso le mani e guadagnato il violino, / come avrebbe detto Rasko”.

Marko Vešović è stato ricordato come si deve da chi condivise l’assedio, da Gianluca Paciucci sul Manifesto, da Gigi Riva sul Domani, dall’ambasciatore Michael Giffoni. Io devo molto alla sua amicizia. Ho chiesto al giornale di regalarmi uno spazio maggiore alla fine della settimana, e a quello rimando.

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