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Il valor militare annichilito dalla viltà di una frase. Vannacci e Giordano Bruno, evocato a sproposito

Adriano Sofri

Chissà a quante persone forse ha salvato la vita questo disgraziato generale. Lui e altri si dicono pronti alla morte, dicono dopo aver espresso le proprie opinioni. Non facciamola troppo facile. È una retorica stantìa

Appena qualche giorno fa, un uomo politico (di estrema destra, ma ora non importa) e pubblico funzionario, dopo aver manifestato perentoriamente, con “assolutezza”, la propria convinzione circa la strage di Bologna, si sbrigò ad aggiungere di essere pronto ad affrontare le eventuali conseguenze, fra le quali spiccava la sacra e raccapricciante memoria del rogo di Giordano Bruno. La retorica impiegata era di quelle da cui guardarsi, ma impressionava che un uomo adulto e con un passato dichiarasse di mettere la propria vita a un simile repentaglio. (Poi la cosa rotolò placidamente, come una pallina da tennis finita fuori campo, verso la cerimonia delle scuse e delle conferme: meno male, del resto, Campo de’ Fiori è già troppo ingombra).

Giovedì, a ridosso del Ferragosto, ex abrupto, un generale in forma, già a capo della Folgore, ora a capo del magnifico Istituto Geografico Militare, fra San Marco e la SS. Annunziata, replicando al successo del suo testo autoprodotto (ciclostilato in proprio, si diceva una volta) sul mondo capovolto – invertito, insomma – evoca anche lui la memoria di Giordano Bruno, mandato al rogo per non aver abiurato, o non abbastanza, alle sue opinioni sugli altri mondi. Vedo già la pallina del generale rotolare a sua volta pigramente fuori campo, e lui stesso si è affrettato a precisare che non siamo più in quei tempi. Ma i due episodi che imprevedibilmente si tallonano danno un’idea dell’Italia e del suo presente che si impone per la virile abnegazione: son pronti alla morte.

Non facciamola troppo facile. Immaginiamo di trovarci in una situazione arrischiata, e in una circostanza in cui lucidità, prestanza e coraggio fisico, esperienza, le cose che andavano e vanno ancora, nei posti sfortunati come l’Ucraina, o l’Afghanistan, o Rakka, sotto il nome di valor militare, si rivelino decisive a salvare vite: anche la vostra. Anche la mia – mi sono trovato in posti così, magari c’era anche quel generale, con qualche stella in meno. Lo si sarebbe ammirato, gli si sarebbe stati grati. Una volta venuta la sera e rientrati, sani e salvi, a mensa, bisognava solo augurarsi che non facesse scivolare la conversazione sulle sue convinzioni sopra le “etnie, per non dire razze”, sui finocchi (come il Giulio Cesare vilipeso da Cicerone), sulle femministe – su quasi niente. Il mondo è pieno di situazioni così, che mettono a una doppia prova: in una salvi vite (anche di femministe e ricchioni e zingari e ebrei) e in un’altra ti fai conoscere. Si possono fallire ambedue le prove, si può cavarsela in una delle due: riuscire in entrambe è un gran colpo.

Nessuna, nessuno può sentirsi al riparo da prove simili. Dalla morte, in particolare. Chi evoca così leggermente Giordano Bruno deve aver interrogato a fondo se stesso, averle immaginate davvero quelle fiamme: il cielo lo risparmi. Siamo gente mediamente “normale” – consenta il generale – diciamo frasi come: “E’ morto nel sonno, senza nemmeno accorgersene, fortunato lui – fortunata lei”. Gente pacifica. Ci sono altri modi. Uno, un “mercenario”, per chi scelga la parola, dice, a quanto pare: “Ti faccio vedere come muore un italiano”.

Retorica stantia, se non lo stessero ammazzando davvero. Una, scrittrice, ammaestratrice, trascinatrice e respingitrice, rende pubblica la propria via alla morte e muore a modo suo – e ci togliamo il cappello, tranne qualche nipotino di Franti. E noi, nell’ora della nostra morte? Chi sa. Non lo sappiamo, per quanto ci concentriamo nel punto in mezzo agli occhi. Chi morirà, vedrà.

Però sappiamo tutte e tutti, ciascuno e ciascuna di noi, come viviamo. Con che coraggio, con che dignità. Chissà a quante persone forse ha salvato la vita questo disgraziato generale, chissà quante altre ne ha ferite o offese. Affar suo, a questo punto. Ma anche a riconoscergli una dose di medaglie da fargli tintinnare tutta la allenata carcassa, bastava una frase, una sola frase, come quella pronunciata e scritta sulla signora Paola Egonu, a far crollare l’intero medagliere in qualcosa di molto vicino a una viltà.

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