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Cosa possiamo escludere, e cosa invece no, sull'attacco a Belgorod

Adriano Sofri

L’ipotesi che l’incursione militare contro il regime di Putin sia stata opera provocatoria dello stesso regime è inverosimile. Ma ammettiamo che sia opera di oppositori russi: l’atteggiamento ucraino oscilla fra la protesta di estraneità e l'apprezzamento

Escludiamo, come almeno inverosimile, l’ipotesi che l’incursione militare contro il regime di Putin nel circondario di Belgorod sia stata opera provocatoria dello stesso regime. Per dubitarne, si è chiamato in causa l’impiego, da parte degli incursori, di mezzi e blindati di fabbricazione americana, denunciati dalle autorità russe. Combattenti che vanno a colpire oltre il confine, cosa mal vista dagli americani, e proprio quando si quaglia la consegna dei caccia F16 alla condizione di non usarli oltre quel confine, e per giunta ci vanno con le targhe americane, per così dire, qualche dubbio lo sollevano. E infatti gli americani, dissociandosi dall’impresa, aggiungono che a trarne qualche vantaggio sarà probabilmente la lagna russa sulla minaccia “esistenziale” al paese.

E però ammettiamo, come sembra verosimile, che sia stata opera di cittadini russi oppositori del regime di Putin, riparati e addestrati in Ucraina, e temerari al punto di attraversare il confine, occupare per un certo tempo alcuni centri abitati, tenere sotto tiro il capoluogo e costringere alcune migliaia di abitanti alla fuga. L’atteggiamento di esponenti civili e militari del governo ucraino oscilla, come in casi analoghi, fra la protesta di estraneità all’azione e l’allusione a una sovrintendenza, o se non altro a un apprezzamento: l’azione mostra al mondo e ai russi che non sono in grado nemmeno di presidiare la frontiera che attraversarono in forze per invadere l’Ucraina, e che non c’è luogo del territorio russo in cui possano sentirsi al sicuro. Le notizie, che citano due organizzazioni diverse che si sarebbero unite per la prima volta per realizzare la clamorosa controinvasione, dicono di un’ispirazione variegata dei loro militanti, che va da posizioni definite “anarchiche” a posizioni definite con una certa disinvoltura “neonaziste”, unite tutte dal nazionalismo russo: la “liberazione” della Russia dalla tirannide di Putin.  

Qualunque persona ragionevole abbia assistito allo scempio che l’armata russa ha voluto fare dell’indipendenza e della vita della gente ucraina nel suo territorio, non può attribuire alcun valore morale alla pretesa che l’Ucraina non restituisca oltre il confine nemmeno un millesimo dei colpi che le piovono quotidianamente addosso. La rinuncia o la limitazione ucraina a colpire in territorio russo può essere solo questione di calcolo fra guadagni e costi, vantaggi e rischi. E questo è infatti il punto nei rapporti fra Ucraina e suoi alleati. Ma c’è anche l’affare di quella caratterizzazione “neonazista”, o “di estrema destra”, di una parte delle forze protagoniste di azioni come questa di Belgorod. Non devo aver frugato abbastanza, ma non ho trovato molto di più di quelle odiose etichette a designare alcune forze coinvolte. Che cosa vuol dire “estrema destra”, contrapposta a un regime grottescamente impegnato a presentare la propria violenza imperialista come una missione “antinazista”? Contro che Russia si batte, e in favore di che Ucraina? Il “neonazismo” delle frettolose notizie giornalistiche è la parodia nel 2023 dell’affiliazione nazista che al tempo della Seconda Guerra conquistava, per amore o per convenienza, i nemici della Russia allora sovietica? Fra i connubii ideologici incestuosi del nostro tempo c’è anche un neonazismo europeista, un europeismo neonazista?

Vorrei sapere di più di personaggi che mettono assieme tatuaggi e distintivi, canti e arti marziali, e chissà quali altre cianfrusaglie. Intanto, per audaci che siano – si può infatti essere nazifascisti e audaci – per spettacolose che siano le loro imprese, esse segnano ai miei occhi un punto a vantaggio del padrone fascista del Cremlino. 

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