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Detenuti russi al tempo della rivoluzione. Una lezione sulle giravolte della storia

Adriano Sofri

Leggere Gramsci mentre i carcerati, oggi, vanno al massacro dopo essere stati estratti con la forza e col ricatto dalle peggiori sentine. Una vicenda infame

La vicenda infame dei detenuti russi estratti con la forza e col ricatto dalle peggiori sentine per andare a saltare sulle mine di Bakhmut mette in mostra una delle molte differenze fra chi è stato prigioniero e chi l’ha tutt’al più immaginato. I secondi reagiscono per lo più deplorando: “un’armata di delinquenti!” Ovvero, i migliori, ne provano una compassione, apprendendo della roulette russa cui quei detenuti vengono forzati – uno su cento ce la fa, e sarà graziato, e si arruolerà per la prossima taverna e il prossimo carnaio – o dell’argomento dal quale vengono persuasi – il rifiuto delle cure ai malati di Hiv, o di qualunque cosa, ai malati di vita.

Chi conosce la galera sa immaginare la dignità, la possibilità della dignità. Sto leggendo un gran libro appena uscito su “L’Œuvre-vie d’Antonio Gramsci”, di Romain Descendre e Jean-Claude Zancarini (ed. La Découverte). Vi ho ritrovato la citazione da un famoso articolo del giovane Gramsci per Il Grido del Popolo del 29 aprile 1917: “Note sulla rivoluzione russa” (l’Ottobre era di là da venire). Avrei dovuto ricordarmene, perché metteva insieme la dignità dei prigionieri e la città di Odessa. Eccolo.

“I giornali borghesi non hanno dato alcuna altra importanza a questo altro fatto. I rivoluzionari russi hanno aperto le carceri non solo ai condannati politici, ma anche ai condannati per reati comuni. In un reclusorio i condannati per reati comuni all’annunzio che erano liberi, risposero di non sentirsi in diritto di accettare la libertà perché dovevano espiare le loro colpe. A Odessa essi si radunarono nel cortile della prigione, e volontariamente giurarono di diventare onesti e di far proposito di vivere del loro lavoro. Questa notizia ha importanza, ai fini della rivoluzione socialista, quanto e più di quella della cacciata dello Zar e dei Granduchi. Lo Zar sarebbe stato cacciato anche dai borghesi. Ma per i borghesi questi condannati sarebbero stati sempre i nemici del loro ordine, i subdoli insidiatori della loro ricchezza, della loro tranquillità. La loro liberazione ha per noi questo significato: in Russia è un nuovo costume che la rivoluzione ha creato. Essa ha non solo sostituito potenza a potenza, ha sostituito costume a costume, ha creato una nuova atmosfera morale, ha instaurato la libertà dello spirito oltre che la libertà corporale. I rivoluzionari non hanno avuto paura di rimettere in circolazione uomini che la giustizia borghese ha bollato col marchio infame di pregiudicati, che la scienza borghese ha catalogato nei vari tipi di criminali delinquenti. Solo in un’atmosfera di passione socialista può avvenire un tal fatto, quando il costume è cambiato, quando la mentalità predominante è cambiata. La libertà fa gli uomini liberi, allarga l’orizzonte morale, del peggiore malfattore in regime autoritario, fa un martire del dovere, un eroe dell’onestà. Dicono i giornali che in una prigione questi malfattori hanno rifiutato la libertà e si sono eletti i guardiani. Perché non hanno fatto mai ciò prima, perché la loro prigione era cintata di muraglioni e le finestre erano difese da inferriate? Quelli che andarono a liberarli dovevano avere una faccia ben diversa dai giudici dei tribunali e dagli aguzzini del carcere…

E’ questo il fenomeno più grandioso che mai opera umana abbia prodotto. L’uomo malfattore comune è diventato, nella rivoluzione russa, l’uomo quale Emanuele Kant, il teorizzatore della morale assoluta, aveva predicato, l’uomo che dice: l’immensità del cielo fuori di me, l’imperativo della mia coscienza dentro di me. E’ la liberazione degli spiriti, è l’instaurazione di una nuova coscienza morale che queste piccole notizie ci rivelano. E’ l’avvento di un ordine nuovo… E ancora una volta: la luce viene dall’oriente e irradia il vecchio mondo occidentale, che ne rimane stupito e non sa opporgli che la banale e sciocca barzelletta dei suoi pennivendoli”.

Certo, c’è qui un’ingenua idealizzazione di “piccole notizie”, frammenti di cronaca elevati a prove della libertà che libera, del “fenomeno più grandioso che mai opera umana abbia prodotto”. Noi siamo il vecchio mondo occidentale indisposto a quella ingenuità e a quella enfasi idealizzatrice – ci siamo passati attraverso, del resto. Ma leggere di quel reclusorio di Odessa, delle orrende carceri zariste, della libertà che libera, della Russia che fa dei malfattori altrettanti eroi dell’onestà, nei giorni della strage di prigionieri abbrutiti e mandati allo sbaraglio su un fronte altrui, è una struggente lezione sopra le giravolte della storia e della cronaca. Da un mito della Russia a un mito della Russia.

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