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piccola posta

In che lingua urleresti se ti staccassero la testa per aver difeso il tuo paese?

Adriano Sofri

A proposito del soldato ucraino decapitato, una donna scrive su Facebook che "è meglio morire come ‘Braveheart’, piuttosto che urlare nella loro lingua 'non farlo'". Da leggere con raccapriccio e paura. I commenti sdegnati sono questi

Un post sciagurato su Facebook – che in Ucraina è meno senile che da noi – ha permesso di guardare dentro i sentimenti e i pensieri della società ucraina. Il post riguardava il video della decapitazione. L’autrice si chiama Vasilisa Mazurchuk, è una giovane donna palesemente ambiziosa, nel cui curriculum c’è un servizio di addetta stampa di un battaglione a Dnipro, poi il trasferimento a Kyiv nella segreteria di un deputato della cerchia dell’ex presidente Poroshenko, un’attività di modernariato, una di volontariato. Ha scritto: “So che molte persone saranno ferite da queste parole. Il video è stato terribile. Ma morire con dignità dicendo ‘Gloria all’Ucraina’, dare un’ultima boccata e diventare un simbolo è meglio. La morte e l’esecuzione sono sempre orribili. Ma è meglio morire come Wallace in ‘Braveheart’, senza essere sconfitti. Piuttosto che urlare nella loro lingua ‘non farlo, fa male’. Quando si muore, è sempre meglio preservare la propria dignità. Perché in guerra, a volte, è molto difficile evitare la morte. Ma non li perdoneremo. Mai. Gesù. Capite che chiedere a un essere umano, o nel nostro caso a un non umano, di non uccidervi per non farvi male non funziona. Faranno sempre il contrario. Perché ne parlate se lo sapete? Non vi verranno incontro. Non vi renderanno la morte più facile. Sono malvagi. Non vi aiuteranno a morire senza dolore!”.

Il “modello”, cui si rimprovera al giovane soldato decollato di non essersi uniformato, è quello cinematografico di “Braveheart”, e quello reale di Timofiy Shadura, il prigioniero, 40 anni, che nel marzo scorso, la sigaretta accesa, ai carnefici nemici che stanno per assassinarlo dice: “Gloria all’Ucraina”, e loro lo crivellano di colpi gridando: “Muori, bastardo!”. Il giovane decapitato si sente, nel video (che non ho guardato) scongiurare in russo “non farlo, fa male”, e urlare sotto il tormento. Dunque gli viene rinfacciata una mancanza di dignità, aggravata dall’aver implorato di risparmiargli quella fine, e in russo, la lingua degli assassini – che è anche la sua.

Quando me l’hanno segnalato, ho letto il post di Vassilissa con raccapriccio e anche con paura, la paura che trovasse corrispondenza nei sentimenti di altri. Quando le reazioni erano più di dodicimila, i like erano poco più di sessanta, le altre avevano la faccina rossa arrabbiata accompagnata da un “Grrrr”. Ho fatto l’esperimento di leggere migliaia di commenti, unanimi nello sdegno. Molti, si può immaginare, di insulti e di auguri di trovarsi lei nella condizione del giovane soldato. Molti chiedevano l’intervento delle autorità, e il ritiro della cittadinanza. Molti, persuasi che Mazurchuk scrivesse dall’Irlanda – dove si trovava alcuni giorni prima con una figlia, non so se ancora – ne sottolineavano la viltà. Molti ricordavano un suo post precedente in cui esigeva con veemenza che fosse proibito a donne senza bambini e anziani di lasciare l’Ucraina. La gran maggioranza dei commenti, i più duri benché non i più violenti, sono di donne. Ne ho fatto un florilegio, ma senza selezionare il merito, perché desidero segnalarne l’importanza rispetto a due questioni essenziali per lo spirito pubblico dell’Ucraina in guerra: la lingua e il culto dell’eroismo (il motto “Gloria all’Ucraina”, si completa con la risposta “gloria agli eroi”: Slava Ukraïni! – Heroiam slava!).

“Questo è un film dove si può morire, che si sia belli o no. Non c’è una bella morte violenta. Beh, a meno che tu non dimostri il contrario con il tuo esempio, stupida creatura senza cuore”. “Peccato che nel nostro paese esistano persone così”. “Hai mai avuto paura come prima della tua morte che sta per venire, e in quel modo? E poi discuteremo le tue ultime parole in questa vita!”. “E’ molto, molto difficile commentare civilmente questo post, senza volgarità… Il mio consiglio per te è: chiedi scusa ai genitori di questo combattente. Rimuovi il post. Esci da Facebook. Sta’ lontana dall’Ucraina…”. “Lascia il divano, vieni a Bakhmut”. “E’ così lontana da Bakhmut l’Irlanda… E’ facile da lì insegnare a morire come si deve”. “E ora dove salvi la pelle? Forse puoi andare a Bakhmut e mostrare quanto è dignitoso morire?”.

Molti dicono che le sue parole gareggiano con la brutalità degli aguzzini russi. “Con compatrioti come te, non c’è bisogno di nemici. Basti e avanzi”. “Quindi stai dando consigli ai soldati su come morire? Hai dimenticato di prendere la tua medicina?”. “Mi chiedo cosa urleresti se ti staccassero la testa. Anche se a giudicare dal post si vive comunque senza testa”. “La dignità va preservata non solo morendo. Anche da vivi”. “O è stupida, o incita di proposito a una rissa linguistica! Quindi, parlare russo prima di morire, è abominevole?”. Parecchi irridono il suo disprezzo per il russo, col suo nome: “Scritto da Vasilisa. E perché non Vasilyna?”.

“I diavoli lo tagliano e questa diavolessa condanna il martire”. “Ma come si fa ad arrivare a questo, bisogna impegnarsi, bisogna sedersi e pensare come il maligno”. “Se le tenaglie ti strappassero i capezzoli, canteresti l’inno, o qualcosa del genere?”. “Non so come sono morti: / in silenzio, urlando, piangendo o implorando. / Hanno avuto il tempo di capire / prima che la testa gli fosse spiccata… / So una cosa: nel grigiore dei templi / fino all’ultima goccia di vita terrena / sarò grata ai nostri eroi / per quello che sono loro, non io… / Ricorda: 12.04.2023”. “Sono una persona molto discreta e cerco di non offendere mai nessuno, ma che cazzo di stronza sei”.

“Devono averti tagliato la testa più volte e sparato spesso per giudicare così una persona”. “Mi veniva una risposta del tipo ‘Vorrei vedere che cosa urlerai mentre ti tagliano la testa’, ma no, starò zitto e in silenzio penserò che quest’uomo è morto da eroe e tu continuerai la tua esistenza di imbecille”. “Ma come si fa a scriverlo? Un uomo è stato brutalmente ucciso, qui le lacrime scorrono come un fiume e il cuore si sta straziando, non ho potuto nemmeno guardare il video. E tu infame l’hai scritto!”.

(C’è un altro dettaglio che mi ha colpito mentre leggevo l’interminabile sfilza di commenti: che la disgustosa provocazione ha indotto le persone – e me fra loro, che non avevo voluto guardare il video, e del resto ne avevo visti fin troppi di produzione jihadista – a pensare davvero alla decapitazione. Non è vero che la si pensi anche senza guardare. Nei commenti c’è l’angoscia del coltellaccio lurido, della sua lenta operazione, del suo stridore, della domanda: in quale punto l’infelice non è più vivo, è già morto? In quale momento la sua testa non è più la sua? Questa macelleria rimanda al dottor Guillotin, alla sua “pietosa invenzione”…).

“Signora Vasilisa Mazurchuk, per favore mi dica come ha evitato la morte in una situazione del genere senza ‘cadere faccia nel fango’? Mi pare di capire che abbia vissuto qualcosa di simile, o no? Magari può chiedere a qualcuno a casa di provare a tagliarle la testa? E con il senso del dovere compiuto e con la lama nel collo, corra rapidamente a scrivere un post istruttivo? E infine, per chi è questo messaggio goffo? Per il giustiziato? Per chi in questo momento rischia la vita o è in cattività? Ha pensato per un attimo quanto dolore può causare ai cari di questo nostro difensore se leggono il suo post?! Il nostro difensore, nonostante la paura, è andato a proteggerci, lei dov’è’? Non sono robot o personaggi dei film e delle favole, sono persone vere e hanno paura e sono feriti, squartati, sono i veri eroi, e lei chi è per giudicarli?!”.

“Per mantenere la dignità? Ma davvero si può dire di questo soldato ucraino che non ha conservato la sua dignità? Sarà una novità per te, ma i militari non sono solo i cyborg impavidi, che non hanno mai paura. Le loro morti non dovrebbero essere il tuo intrattenimento irlandese, o il disegno della cartolina che regali al tuo padrone di casa romanticizzando questa terribile guerra. Il tuo cinismo è semplicemente disumano”.

“Ho spento il video dai primi secondi. La nausea per l’orrore mi è salita in gola. Le urla di questo ragazzo… Sono impossibili da sentire… Siamo persone, siamo inclini all’empatia. Ogni ucraino ha sentito l’orrore di questo figlio con ogni cellula. Spero che domani non pubblichi un manuale su quali parole urlare quando vieni ucciso. Scusami se scrivo nella lingua dell’occupante, io l’ho denazificata e smilitarizzata, questa lingua”.

All’indomani, Vasilisa ha fatto qualche tentativo su FB di menare il can per l’aia, mostrarsi fiera di sé, sostenersi incompresa (del resto, la vanità dei social è tale da rischiare di rendere felici per la sola vertigine dei commenti, quali che siano). Ieri mattina ha cancellato il primo post. Su quelli successivi arrivava inesorabile una nuova pioggia di sdegno. Scrive: “Non cancellerò nulla perché preferisco morire in piedi piuttosto che vivere in ginocchio. Non mi scuserò con nessuno, perché le uniche persone che devono scusarsi per i loro peccati sono quelle che ci hanno attaccato e stanno commettendo genocidio”. Via: “Persa nella tua carriera. Morte non ti auguro e non capisco quelli che lo fanno, ma hai detto una cosa molto molto stupida. Dovrei dire di più sulla lingua? Non fai che peggiorare la tua vergogna”. “Mostro, vieni nella mia natia Bakhmut e di’ ai nostri soldati cosa ne pensi!! Il tuo primo messaggio era che l’eroe del nostro paese stava morendo ‘urlando nella loro lingua’! I nostri coraggiosi eroi e difensori parlano russo e ucraino, inglese e georgiano e tante altre lingue! Sii grata a loro per la nostra pace e non osare nemmeno aprire il ventaglio della lingua!”.

“Sono la madre di un combattente scomparso, ti sputo nel muso, bestia”. “Di solito non lo faccio, ma ora ho un desiderio raro di unirmi all’odio di massa, quindi ecco qua: vaffanculo, troia. E’ abbastanza ucraino?”. “Una persona dal nome russo condanna chi parla russo nel momento della sua morte?”. “Mentre insegnate in che lingua andarsene, i ragazzi russofoni vi proteggono il culo. Pensa con la tua testa ogni tanto”. “Non hai parlato ucraino fino al 24 febbraio. Molte persone stanno passando da una lingua all’altra. Ed ecco che fai la lezione a un uomo morto proteggendo il culo a ognuno di noi. Non c’è nessun manuale su come morire!”.

“Non conosco nessuna persona che in 12 ore su FB abbia ricevuto 12.000 maledizioni”. “Ora sta’ in attesa dei post dalle trincee di Bakhmut o Avdiivka. Ti dirò com’è per esperienza personale. Cosa e come urlare quando vieni uccisa”. “Non l’ho mai fatto MAI. Commento raramente. Ma tu Vasilisa mi hai appena forzato. Come hanno fatto le tue dita a tornare a scrivere così??? Che diritto hai di pensare COSA, e soprattutto in QUALE LINGUA, il guerriero ha da parlare al momento dell’esecuzione. O sei malata o sei solo una stronza. Mi chiedo se hai già pianificato cosa e in quale lingua grideresti tu”.

“’Urlare’? Ho sentito un rauco rimpianto nella mia voce! Chi era quello che urlava?! ‘Nella loro lingua’? E in che lingua una persona potrebbe chiedere di fermare l’insopportabile tortura dei russi per farsi capire? ‘Dignità’? Cosa ne sai tu di questa parola?”. “Sono un soldato delle forze armate ucraine. Metà dei soldati parla russo, forse non combattono?! Sono nato nella regione di Odessa e ho studiato in una scuola ucraina. So parlare perfettamente ucraino, ma parlo ucraino quando serve o quando voglio. E così parlo soprattutto russo, è mio diritto COSTITUZIONALE, parlare come voglio e come sto bene. Se voglio parlo albanese cinese eccetera”.“Mio padre parlava russo. Eravamo a Mariupol. E il 18 marzo è stato ucciso da un missile russo. Un tempo non se lo sarebbe aspettato. Ma lui parlava russo. Forse quando capirai sarà troppo tardi".

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