Foto di Evgeniy Maloletka, AP Photo, via LaPresse 

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L'esibita rivalità tra i banditi della Wagner e i banditi del Cremlino nel reclutare detenuti

Adriano Sofri

In Russia per la guerra si usano i criminali. Lo stato vuole il monopolio sui prigionieri da mandare al fronte. E l'opinione pubblica si è già abituata a questo fenomeno raccapricciante

Chi si occupi di galere, tanto più se la galera si sia occupata di lui, si accorge di rimuovere l’esperienza orrida delle bande armate che reclutano i carcerati per la nuova roulette russa: sei mesi al mattatoio della prima linea ucraina, e poi, chi ne esca vivo, una specie di libertà. C’è già, fra gli scampati, chi prova a riarruolarsi, perché sopravvivere è difficile già a chi esca dalla galera, figurarsi a chi esca da Bakhmut.

Non ho seguito abbastanza le cose discusse in Italia, non so se qualcuna, qualcuno, abbia sentito la sproporzione fra la nostra attenzione al carcere italiano, alle sue promesse costituzionali e alle sue indecenze, e l’uso che del carcere fa la Federazione russa. Se qualcuno abbia deviato la citatissima (invano) sentenza sulla civiltà di un paese che si giudica dalle sue prigioni, sullo stato russo che combatte la sua guerra d’aggressione e di distruzione con un’armata regolare affiancata da un’armata mercenaria privata che estrae dal carcere ogni genere di detenuti, disgraziati da quattro soldi e venti o trent’anni di pena o prestigiosi serial killer – i più ambiti, immagino.

Non m’importa d’interrogarmi sul Cremlino e i suoi inquilini, né su Prigozhin, già delinquente “comune” anche lui, già “cuoco di Putin”, tuttora imprenditore di buona parte degli investimenti di assassini di ventura in Africa e altri luoghi del mondo: loro sono facili da capire, com’è facile da capire tutto ciò che è enormemente lontano dall’umanità comune, straordinariamente vicino alla disumanità. L’assillo è la mente di quei detenuti, l’offerta cui sono forzati a cedere o da cui si lasciano adescare – il soldo, l’autorizzazione alla violenza e al saccheggio, il miraggio della diserzione e della fuga, e comunque la sensazione che tanto valga… 

Il 10 marzo un gruppo di dodici esperti in diritti umani nominati dalle Nazioni Unite – delle cui istituzioni non fanno parte, e da cui non ricevono alcun compenso – hanno espresso un “profondo turbamento” per il reclutamento dei prigionieri da parte del gruppo Wagner, che “offre il perdono per condanne criminali ai prigionieri, sia russi che stranieri, che vi si arruolino e prendano parte alla guerra in Ucraina, oltre che un soldo mensile ai loro parenti”. Gli esperti denunciano le “minacce e le intimidazioni” cui i reclutatori ricorrono: negazione di rapporti con famigliari e avvocati, fino alla “sparizione forzata”. L’uso di stabilimenti penitenziari, come quello di Rostov, per il breve addestramento dei reclutati prima di mandarli al fronte. L’estensione dell’arruolamento alle prigioni del Donbas. Il maltrattamento abituale dei reclutati. L’esecuzione pubblica ed “esemplare” dei reclutati che tentano di fuggire. La Russia, dicono, come ogni paese, “ha l’obbligo di tutelare i detenuti dalla violenza, lo sfruttamento e l’intimidazione”, e di vietare ai privati di “abusare della vulnerabilità dei prigionieri per il loro interesse”.

Fra i banditi della Wagner e i banditi di stato c’è una esibita rivalità: la più spettacolare forma di dissenso pubblico nella vita civile russa. (Le altre obiezioni sono a loro volta in galera oppure in esilio). Ora è lo stato a pretendere il monopolio del reclutamento di prigionieri, mentre Prigozhin annuncia di voler stabilire i suoi privati centri di arruolamento in tutto il paese. C’è da stupirsi e vergognarsi della naturalezza con la quale da noi la cosiddetta pubblica opinione, o una sua gran parte, si è adeguata a un fenomeno così raccapricciante.

Troppi film, troppa Sporca dozzina? Ma la Russia ha il più alto tasso di incarcerazione in Europa, e un sistema di “colonie penali” ancora improntato al Gulag. Le galere russe, spaventose come proverbialmente sono (si guardi l’“unità abitativa speciale” riservata a Navalny), contengono alcune centinaia di migliaia di detenuti: si capisce che un tale giacimento di carichi umani residuali, come direbbe qualcuno, faccia gola a un regime che ha bisogno di numeri per la sua guerra, e che fa guerra mandando “ondate su ondate” di umani allo sbaraglio. La Russia di tutti gli imperi ha sfruttato su una scala gigantesca il lavoro forzato dei suoi prigionieri, compresi quelli “di coscienza”, e ha fatto metodico ricorso alla tortura e alla violenza sessuale.

E l’Ucraina? Nel marzo 2022 una legge ha consentito che i detenuti in attesa di giudizio, su loro richiesta, potessero essere autorizzati dai magistrati competenti a prendere parte al servizio militare, con l’esclusione di molti reati (omicidio, rapimento e stupro, reati contro gli interessi nazionali, reati di droga, oltre che terrorismo, associazione criminale, tratta di esseri umani, crimini militari e di guerra…). Fenomeno che è restato limitato. Ai carcerati ucraini, e ai loro custodi, è rimasto il problema di essere chiusi a chiave dentro città bombardate – sperando che i loro muri di cinta venissero risparmiati, o, chissà, che venissero colpiti abbastanza da farli evadere. 

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