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Due settimane di formazione per i soldati e poi a Bakhmut: “Così non si può fare”

Adriano Sofri

Un reportage del Kyiv Independent denuncia che i militari ucraini non si sentono protetti nella città sotto attacco. Ma segnala anche la gran libertà d'informazione e il senso di “più armi”

Che cosa succede a Bakhmut? Ieri l’Institute for the Study of War suggeriva che le forze ucraine si preparassero a una ritirata graduale verso le linee fortificate alle spalle della città, così da continuare a falcidiare le truppe mandate allo sbaraglio dai comandi russi. (Secondo l’intelligence della Difesa britannica ai riservisti russi è stato ordinato di assaltare un punto di forza ucraino in cemento armato solo con “armi da fuoco e pale”. “La letalità dell’attrezzo da trincea MPL-50 in dotazione è particolarmente mitizzata in Russia. Poco cambiato da quando è stato progettato nel 1869, il suo utilizzo come arma evidenzia i combattimenti brutali e a bassa tecnologia che hanno caratterizzato gran parte della guerra”).

  

Domenica Lorenzo Cremonesi sul Corriere si chiedeva come mai gli ucraini ancora non si ritirassero: “Vogliamo ucciderne il maggior numero, saranno i morti a spingere la Russia a ritirarsi e firmare la pace”. Secondo i suoi interlocutori “il rapporto fra i nostri caduti e i loro è di uno a sette. Ma noi spariamo con 40 colpi e i russi con 200”. Il boss della Wagner avvertiva che Bakhmut era circondata su tre lati, suscitando la domanda angosciosa sull’eventualità che gli ucraini finissero nel sacco, e con loro i superstiti residenti civili, per aver troppo tardato la ritirata. Per altre fonti gli ucraini avevano mandato rinforzi di uomini e mezzi, soprattutto droni: hanno forse una residua speranza di poter ribaltare la sorte della battaglia?

 

In un contesto così drammatico il quotidiano online Kyiv Independent ha pubblicato un reportage dal fronte di Bakhmut di Igor Kossov, datato a sabato 5, che impressionava per più ragioni. La prima, esplicita già nel titolo – “Soldati ucraini a Bakhmut: ‘Le nostre truppe non sono protette’” – sta in quello che riferisce sulla condizione tremenda in cui vi viene condotta la resistenza ucraina. La seconda è che documenta una gran libertà di informazione e di denuncia, sul tema più delicato e nel mezzo di una battaglia campale. Non a caso il reportage è stato ripreso da un gran numero di giornali nel mondo e in Italia. (Chi voglia aggiornarsi sul quotidiano, la sua direttrice e il suo anno di guerra può leggere l’intervista pubblicata dall’Independent il 23 febbraio scorso dal titolo “Blackouts, air raids and reporting by candlelight: The ‘new normal’ of The Kyiv Independent newsroom”). La terza ragione è che permette a lettrici e lettori lontani di capire che cosa voglia dire il ritornello “Armi, armi, armi”, sul quale alcuni di loro esercitano la propria sagace ironia.

    

Scrive l’inviato del Kyiv Independent: “L’incessante assalto russo a Bakhmut sta sacrificando ondate su ondate di uomini impreparati mandati a morire. Ma molti dei difensori della città nell’Oblast’ di Donetsk sentono di essere in una barca simile, secondo le interviste con più di una dozzina di combattenti... I fanti ucraini ci hanno raccontato di battaglioni non addestrati che sono stati gettati nel tritacarne della prima linea per cavarsela come possono, con scarso sostegno di veicoli blindati, mortai, artiglieria, droni e informazioni tattiche. “Non riceviamo alcun supporto”, dice un soldato di nome Serhiy, che ha combattuto in prima linea a Bakhmut, seduto con il suo amico, anch’egli di nome Serhiy. Entrambi hanno sui 40 anni... Sostengono che l’artiglieria, i veicoli da combattimento e i veicoli corazzati da trasporto russi, sono spesso lasciati in grado di colpire le posizioni ucraine per ore o giorni senza risposta. I mortaisti parlano di estrema scarsità di munizioni e di armi risalenti alla Seconda guerra. Anche i droni, che dovrebbero fornire la ricognizione, sono scarsi e in alcune zone vengono persi a tassi molto elevati. Tutto questo porta a un numero spaventoso di morti e feriti. “Il battaglione è arrivato a metà dicembre... tra tutti i plotoni eravamo in 500”, racconta Borys, un medico che viene da Odessa. “Un mese fa eravamo diventati 150”. “Quando si va in posizione, non c’è nemmeno il 50 per cento di possibilità di uscirne vivi”, dice il più anziano Serhiy. “E’ piuttosto un 30 per cento”.

 

L’Ufficio del presidente dell’Ucraina ha calcolato che a metà gennaio la Russia potrebbe aver perso decine di migliaia di uomini nella battaglia di Bakhmut. Da allora i combattimenti si sono intensificati e l’Ucraina ha più volte dichiarato la morte di un migliaio di russi nei suoi aggiornamenti quotidiani. La maggior parte delle vittime appartiene verosimilmente all’area di Bakhmut. Le autorità non hanno dato informazioni sulle perdite ucraine che, in base alle testimonianze dei soldati, sono anch’esse elevate.

 

“C’è Wagner e ci sono due brigate di assalto aerotrasportate”, dice Oleksandr, un fante di Sumy, che fa parte di un battaglione d’assalto. “E’ dura. Ondate continue, senza sosta”. Alcuni descrivono gli attacchi russi come enormi ondate di carne da cannone, mentre altri dicono che le tattiche degli invasori si sono evolute. Il Serhiy senior dice che il nemico usa sacrificare una squadra di tre o quattro soldati a piedi per attaccare e far sì che gli ucraini si espongano sparando loro addosso. A quel punto, le forze d’élite si concentrano sulla posizione dei difensori. Una volta iniziato lo scambio di fuoco, gli ucraini vengono colpiti con i mortai e i Grad o i veicoli da combattimento per la fanteria Bmp e i veicoli corazzati Btr con le mitragliatrici. “Stabiliscono le coordinate, poi ci colpiscono da sette-nove chilometri di distanza con i mortai”, e da più vicino con i lanciagranate, dice Serhiy. “I loro uccelli escono e ci inseguono”, aggiunge il più giovane Serhiy, riferendosi agli Uav russi, come i quadcopter e i droni ad ala fissa Orlan-10. I russi distruggono sempre più edifici, gli ucraini perdono sempre più posti dove riparare. Borys, il medico, racconta di persone uccise quando le posizioni trincerate sono crollate a causa del fuoco russo, soffocandole.

“La metterò così: dovremmo far uscire la nostra gente perché se non ce ne andiamo, nelle prossime settimane sarà un disastro”, dice Oleksandr.

Alcuni fanti ci hanno dichiarato che spesso non possono contare sull’artiglieria amica contro le armi russe più pesanti. “Ci dicono di resistere, riceverete supporto tra mezz’ora o un’ora. Aspettiamo per sette ore, non c’è supporto”, aggiunge il più giovane Serhiy. Le forze russe non sembrano avere questo problema, dicono i due compagni.

Le truppe ucraine affermano inoltre di sentire fortemente la mancanza di veicoli di fanteria in prima linea... Illia conferma che quella che sulla carta dovrebbe essere fanteria meccanizzata, nella pratica è spesso solo fanteria a piedi. I due Serhiy si sono chiesti perché si vedano veicoli da combattimento di fanteria ucraini nelle retrovie, mentre sul fronte non se ne vedono quasi. “Perché sono qui? Dovrebbero essere laggiù”, dice il Serhiy più anziano. “Qui aspettano che arrivino i russi. Avrebbero potuto essere usati per distruggerli laggiù”.

Illia, mortaista della 3017ª unità della Guardia nazionale ucraina: “Riceviamo 10 proiettili al giorno, da 120 millimetri. Sono sufficienti per un minuto di lavoro”. I mortai stessi risalgono agli anni 1938-1943 e per colpire qualcosa “ci vuole un miracolo. Ma i mortai ucraini riescono comunque a colpire i bersagli”. “Abbiamo bisogno di munizioni, munizioni, munizioni”, aggiunge Illia. Il più giovane Serhiy dice che i proiettili da mortaio sono spesso vecchi, e non esplodono. Non è così dappertutto. Mykola, un mortaista da Odessa, dice che la sua unità riceve invece proiettili della Nato, anche se i tubi sono ancora della Seconda guerra. Ma anche Mykola conferma che non ricevono abbastanza munizioni...

Molti soldati affermano che alle truppe viene dato a malapena il tempo di imparare a sparare con un fucile – a volte il loro addestramento è di sole due settimane. Avrebbero voluto che ricevessero un addestramento di almeno due o tre mesi prima di essere dispiegate in una zona così calda. “Due settimane di addestramento dal vivo e vengono mandati qui. Non si può fare”, dice il più anziano Serhiy. “Oppure si tratta di persone che hanno prestato servizio nell’esercito, ma quanto tempo fa? Naturalmente hanno dimenticato tutto”.

“Ci avevano promesso che non saremmo stati mandati subito in prima linea, che saremmo stati mandati in seconda o terza linea. E poi siamo arrivati qui nel cuore della notte e ci hanno subito mandato a Bakhmut”. “Ovviamente una persona inizia a dare di matto. A dire la verità, se non mi avessero sparato per primo, non avrei sparato un colpo. Ma i proiettili arrivavano a 50 centimetri da me, e allora ho cominciato a sparare”. Secondo entrambi i Serhiy, le persone vengono portate di notte in un luogo mai visto prima e la battaglia inizia al mattino. Oleksandr conferma che mentre alcuni battaglioni che combattono a Bakhmut sono ben addestrati, la maggior parte non lo è e molti sono stati gettati di notte. “E’ vero, il mio battaglione non era preparato”, dice. Dopo cinque mesi senza una sola pausa dai combattimenti, ne è rimasta solo la metà. “Non avrebbero dovuto avere fretta di buttare tutti là dentro”, dice il più giovane Serhiy. “Meglio abbandonare quelle posizioni, chi se ne frega? E’ meglio addestrare adeguatamente le persone”.

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