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Cosa c'è di reale (e angosciante) nel dissidio su Bakhmut

Adriano Sofri

La difesa a oltranza della città e il chiacchierato disaccordo tra Zelensky e il generale Zaluzhny. Fra combattenti e cittadini, la sua popolarità e fiducia è pari a quella del presidente

Gli interrogativi attorno alla battaglia per Bakhmut, e alla carneficina che vi si consuma, sono sempre più assillanti e angosciosi. Ieri era l’8 marzo, e il capo della Wagner, Prigozhin, ha vantato la presa della “parte orientale” di quella che era la città. (Si chiama “Compagnia privata Wagner”, un campione esemplare dell’iniziativa privata nella Russia di Putin). Il presidente Zelensky ha ribadito che la difesa a oltranza di Bakhmut ha per l’Ucraina un’importanza “tattica”, quella che altri chiamano strategica. Perché, ha ripetuto, la caduta di Bakhmut aprirebbe ai russi la strada verso una città cruciale come Kramatorsk, o altri centri come Sloviansk.

Zelensky contraddice dunque il giudizio, diventato luogo comune, sul rilievo solo simbolico, “da torneo”, dello scontro per le macerie di Bakhmut, e l’assicurazione che alle spalle della città sono state da tempo apprestate due o tre linee di difesa sulle quali gli ucraini potrebbero ritirarsi e attestarsi, fermando l’ulteriore avanzata di mercenari e regolari russi. Per questa versione, la resistenza estrema ucraina aveva il solo scopo di guadagnare giorni utili a far crescere il mucchio di caduti e feriti fra gli attaccanti russi (20-30 mila uomini, dicono le “fonti di intelligence” occidentali). Qual è la situazione reale?

Nella leadership ucraina due persone raccolgono la più grande fiducia fra i combattenti e fra i cittadini, sono Volodymyr Zelensky e Valery Zaluzhny, il generale comandante in capo da lui nominato, quasi a sorpresa, nel luglio del 2021, quando a pensare alla possibilità di una guerra erano in pochi, e Zaluzhny tra i pochi. La popolarità di Zaluzhny non ha fatto che crescere lungo l’anno di guerra, favorita, oltre che dai successi sul campo, da una forte autorevolezza di militare di professione combinata con la cordialità personale. Zaluzhny ha guadagnato un fortissimo prestigio fra gli alleati della difesa ucraina e una grande attenzione delle copertine internazionali, soverchiante rispetto alla reputazione del ministro della Difesa Reznikov, dato già per sostituito a causa della corruzione fra i suoi collaboratori, e prorogato sine die. Era abbastanza inevitabile che, nella cerchia singolarmente ristretta dei dirigenti ucraini, si figurasse e si paventasse (o, all’opposto, si augurasse) una rivalità fra il presidente e il suo comandante in capo, attento, secondo i conoscitori, a non fargli ombra e insieme a curare il proprio consenso, come nell’episodio del milione di dollari lasciatogli in eredità da un patriota ucraino-americano e subito devoluto all’esercito. La tedesca Bild, pochi giorni fa, aveva raccolto informazioni “interne” secondo cui già alcune settimane addietro Zaluzhny avrebbe voluto decidere un ripiegamento da Bakhmut, dove, si ricorderà, l’attacco russo continua dal luglio dell’anno scorso. Zelensky avrebbe imposto allora la scelta della resistenza. Nei giorni scorsi l’alternativa si è ripresentata e fra gli “esperti” si è dato per scontato che l’esercito ucraino stesse per ritirarsi, badando a farlo in buon ordine, senza smettere di colpire il nemico e sventando il rischio di farsi accerchiare.

Improvvisamente e imprevedibilmente da parte ucraina è arrivato l’ordine opposto, di resistere a ogni costo, contando su rinforzi di truppe e, non si sa in quale misura, di veicoli e munizioni, di cui era stata denunciata la carenza. La presidenza ucraina ha curato di smentire la Bild mettendo in risalto il consenso dei responsabili militari, Zaluzhny e il comandante sul campo, Oleksandr Syrsky, sulla determinazione a difendere allo stremo Bakhmut. Li ho consultati, ha detto Zelensky, e hanno risposto che occorre continuare e anzi rafforzare la difesa di Bakhmut. Tuttavia l’interrogativo restava. Martedì 7, l’ufficio di Zaluzhny dava notizia, con un corredo di fotografie cameratesche, del suo incontro con ufficiali di rango occidentali: l’americano generale Christopher Cavoli, capo del Comando Nato in Europa, l’ammiraglio britannico Tony Radakin, i generali polacco Rajmund Andrzejczak e americano Antonio Aguto, capo del Gruppo assistenza e sicurezza ucraina. Zaluzhny ha poi comunicato: “Ho avuto un incontro molto importante per l’Ucraina, e sono stato felice di vedere i miei amici e colleghi... Li ho prima di tutto informati sugli ultimi sviluppi sul fronte orientale e specialmente a Bakhmut”. E ieri, al margine della riunione di Stoccolma dei ministri della Difesa, Jens Stoltenberg, il segretario della Nato, dichiarava che “non si può escludere” – leggi: c’è da aspettarsi – l’abbandono ucraino di Bakhmut “nei prossimi giorni”, ribadendo la tesi sulla scarsa importanza “strategica”, propaganda a parte, dell’avvenimento. Le sue parole, più che come una previsione, sono suonate come una raccomandazione, e hanno lasciato immaginare un appoggio alla supposta tesi di Zaluzhny, e una discreta dissociazione da quella di Zelensky. Si vedrà: ma d’ora in poi nella sorte finale delle rovine di Bakhmut si leggerà anche lo stato dei rapporti fra i massimi leader ucraini. Le parole oltranziste di Zelensky fanno sì che l’abbandono di Bakhmut (se avverrà, e sperando che non succeda l’irreparabile, l’accerchiamento pieno dei difensori) equivalga a una sconfessione della sua volontà, se non l’imputazione di un costo così alto di perdite nelle file militari ucraine e fra i civili superstiti. E la notorietà della versione sul dissidio fra il presidente e il capo militare farà pesare sugli ucraini un dolore e un’angoscia in più.