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La requisitoria del cardinal Ravasi coinvolge anche chi non ha più tanta voglia di essere ateo

Adriano Sofri

È sempre meglio diffidare, però, di chi mette in bocca a Gesù (che non twittava) altre parole oltre a quelle riferite dagli evangelisti

Devo essere anch’io pieno di rancore, come si usa, al punto che qualche giorno fa mi prende una ribellione a Gianfranco Ravasi, cardinale e uomo mite – benché tutt’altro che cedevole. Succede per un titolo: “Io sui social per annunciare il Vangelo, anche Gesù twittava”. E’ quel “Gesù twittava” che mi fa perdere la pazienza. Quell’inversione dell’Imitatio Christi. Non siamo più noi a (provare di) imitare Cristo, ma Cristo a imitare noi: a twittare. Naturalmente è un pretesto, ho solo voglia di prendermela con qualcuno. Per giunta io e Ravasi abbiamo parecchio in comune – siamo coetanei, per cominciare – e molto di più a dividerci: lui crede a Gesù vero Dio e vero uomo, io all’uomo. Al suo modo di parlare e alle cose che diceva. Al suo modo così umano di piangere. Al fatto così strano che non ride mai, o non ce lo dicono. Al suo modo di tacere, come quando scarabocchia per terra per prendere tempo mentre i furiosi stanno per scatenare la sassaiola contro l’adultera. Dev’essere per questo che ho sempre diffidato dei tentativi di mettere in bocca a Gesù altre parole oltre a quelle riferite dagli evangelisti. Dostoevskij curò di non far dire una sola parola al Gesù ritornato di Siviglia: Gesù e l’Inquisitore stanno uno di fronte all’altro, nel dialogo più sconvolgente della letteratura universale, e il più paradossale. Un dialogo in cui uno parla e uno tace – serbandosi, ben più che l’ultima parola, il bacio sulle labbra esangui del vecchio attonito. Ecco, ora mi è più chiaro il fastidio per l’espressione del Gesù che twitta. Ma è un capriccio, si capisce che cosa intendesse Ravasi, o il Papa che, lui sì, twitta e imita Cristo.

Per penitenza, e perché da un po’ non seguo Ravasi – va’ a mettergli il sale sulla coda del resto: vedo il Breviario settimanale sul Sole 24 Ore, era più facile con il Mattutino quotidiano, lui sull’Avvenire, io in galera – do un’occhiata, e trovo la notizia sul suo ultimo libro, Breve storia dell’anima (Il Saggiatore). C’è, per IlLibraio.it, una bella intervista con lui di Antonio Sanfrancesco – si chiama così – e intanto leggo quella. (“Lei twitta spesso”. “Due volte al giorno… TikTok ancora no”). Ravasi si vuole come un uomo “che sta sulla frontiera” – “methorios”. “I piedi ben piantati sul proprio terreno, quello della fede, ma continuando a guardare ciò che sta al di là”. Si capisce che in questa postazione di sentinella, o di traghettatore, prediliga e rimpianga “i veri atei”, e deplori gli indifferenti che oggi prevalgono, gli “apateisti”. Dice del mondo di oggi quello che gli ex dicono del Pd – si è solo ex, nel Pd: che ha smarrito l’anima, e non se ne duole, contento di corpi che esultino senz’anima. Il vero ateo sfidava la teologia sul suo terreno, era ghiacciato o bollente, non tepido come l’apatico – uso alla rinfusa anche un po’ di parole mie. Bisogna essere – parole sue – “spina nel fianco”. Dice: “Una volta il sociologo canadese Charles Taylor mi disse: ‘Se oggi arrivasse Cristo in piazza e cominciasse ad annunciare la sua Parola – che era fuoco vero – cosa accadrebbe? Al massimo gli chiederebbero i documenti’”. Il vecchio Tolstoj aveva detto prima: “Se venisse Cristo e desse alle stampe il Vangelo, le signore gli chiederebbero l’autografo. E niente più”. Ravasi ha i suoi esempi vicini e perduti: Pasolini, Turoldo, Balducci… Forse però i forti credenti, in ogni cosa, in ogni epoca, hanno sentito prevalere l’indifferenza. Carlo Michelstaedter scrisse: “Se Cristo tornasse oggi, non troverebbe la croce ma il ben peggiore calvario d’un’indifferenza inerte e curiosa da parte della folla ora tutta borghese e sufficiente e sapiente – e avrebbe la soddisfazione di esser un bel caso pei frenologi e un gradito ospite dei manicomi”. Credo di sapere perché Ravasi vuole star saldo sulla frontiera e insieme cercare di là con lo sguardo un ateo agonistico, è qui un fondo del cattolicesimo, della predilezione per il grande peccatore, a costo di una mortificazione del figlio non prodigo e delle 99 pecorelle non smarrite. Nessuno è vicino alla conversione quanto il grande peccatore: l’Innominato, non il futile don Rodrigo. Ma anche qui c’è una tentazione, un rischio di reciprocità. C’è un corpo a corpo: può prevalere il cardinale, può prevalere l’Innominato. Molti dei più accaniti persecutori del paradiso sulla terra si sono convertiti alla vera miscredenza, combattiva e vendicativa. La frontiera è trafficata. 

Però la requisitoria di Ravasi mi coinvolge. Sono stato un “vero ateo”, e ora lo sono meno, o non lo sono più affatto. La guerra d’Ucraina, come un colpo di grazia, mi ha tolto, per così dire, la voglia di non credere in Dio. Tanto meno mi sento apateista. Ho uno spirito ruggente, che può degradarsi a farsi rabbioso o intollerante. Forse perché mi sembra di non avere più tempo, o perché il tempo sconfessa l’investimento nel negoziato col lato religioso della frontiera. Un’impazienza forte per l’ecumenismo: mai è stato così brutale l’abuso di Dio, soprattutto del Dio unico, da parte degli oppressori dell’umanità. In Iran, in Cina, in Russia, in Indonesia, in Turchia… Il dialogo non è una spina nel fianco: lo presta, il fianco. La vicenda di Kirill e di Francesco è un disastro esemplare. Bisogna puntare sulla forza e la fiducia nella forza del Vangelo, dice Ravasi, è quello che ha fatto il Papa Francesco, con la Fratelli tutti sulla convivenza umana, con la Laudato si’ sull’ecologia… Ma perché dal 24 febbraio le parole dell’imitatio Christi, dei loghia evangelici, di Francesco, suonano loro tepide e, più che disarmate, caricate a salve? Ascolto la motivazione sulla prudenza lungimirante che vuole custodire una possibilità futura di mediazione per la pace. Riservarsi per la pace, alla lunga diventa un’avarizia. Si risparmia per il futuro, si rischia di essersi risparmiati. Le parole di Francesco vanno rincarandosi ora, accostano il holodomor all’aggressione russa, la shoah alla sofferenza dell’Ucraina, perché la promessa e l’illusione della mediazione vanno svanendo, e un bruto come Erdogan fa l’offerta più plausibile. Il Papa misura le parole, o le alterna, precisa, rettifica. E ora ha detto anche: “Penso poi a voi, giovani, che per difendere coraggiosamente la patria avete dovuto mettere mano alle armi anziché ai sogni che avevate coltivato per il futuro”. Un mezzo Rubicone. Hanno dovuto metter mano alle armi, come non aiutarli? Un cristiano non può che astenersi dalle armi? O chiedere, come un avvocato del popolo, se siano difensive o offensive? In Ucraina le religioni costituite sono esplose come la Seconda Internazionale allo scoppio della Prima guerra: e ora il governo, sotto la pressione schiacciante di una guerra vile e indiscriminata, rischia di ridurne una fazione a una chiesa del silenzio. L’Ucraina al freddo e al gelo – scesa dalle stelle – non sa commuoversi di sentirsi dire martoriata. Il Papa restituirebbe calore, fuoco, alle parole che ripete se confessasse la sua sconfitta de profundis, e se ne facesse forte. La sconfitta del Tutti fratelli, del Laudato si’. Qualcosa come il lamento di Paolo VI: “Tu non hai esaudito la nostra supplica…”. 

I giornali l’altro giorno avevano presentato una “enciclica” papale sull’Ucraina. Ero stato distratto, mi sono chiesto se davvero ci fosse un’enciclica, sono corso a cercarne il testo. Era un libro, in vendita come i libri, la raccolta dei tanti discorsi dedicati da Francesco alla guerra, curata dal vaticanista del Fatto quotidiano, Francesco Antonio Grana, proprio con quel titolo: Un’enciclica sulla pace in Ucraina, TS edizioni. L’introduzione firmata dal Papa ringrazia così: “Sono particolarmente grato a Francesco Antonio Grana perché ha raccolto tutti i miei appelli per la pace in Ucraina. Sono ugualmente grato al suo giornale, ilfattoquotidiano.it, perché, fin dall’inizio di questo conflitto, ha sempre dato ampia risonanza a queste mie parole”. Il Fatto, sull’Ucraina, ha sempre dato ampia risonanza alle parole di Mini, Orsini, Di Cesare, e all’arrendevole altruismo di Travaglio. Ampia risonanza. 

Volontari cattolici pacifisti hanno creduto – si sono illusi, illusione buona – che la coraggiosa presenza personale e l’aiuto concreto, inerme, alla gente ucraina, avrebbe offerto un’alternativa esemplare alla fornitura d’armamenti. Ma la gente ucraina ha visto nella carità inerme una carità disarmante. Il collega di Ravasi, Konrad Krajewski, prefetto del Dicastero per il servizio della carità, ha portato in Ucraina il gesto che l’aveva fatto amare in uno scantinato romano: l’interruttore riacceso per dare la luce a un condominio romano occupato. In Ucraina gli occupanti hanno sparato addosso a lui, e hanno bombardato tutte le centrali elettriche del paese. Restituire luce e calore all’Ucraina d’inverno non è più affare di carità, a meno che ritorni un Bambin Gesù del Vangelo di Tommaso. Dovrebbe il Papa invocare il sostegno armato all’Ucraina? No. Ma non dare alibi alla viltà che si crede o si finge cristiana e gelosa della pace. 

Caro cardinale Ravasi, in ognuno dei mattatoi del mondo provocati dalle guerre che ho avuto il privilegio di frequentare, le vittime inermi, delle più diverse fedi religiose, per maledire i loro persecutori li chiamavano “senza Dio”. E’ il cimento più arduo cui viene messo il vero ateo. E’ anche la versione più vicina a quell’altra sentenza celebre di Dostoevskij: “Se Dio non c’è, tutto è permesso”. Naturalmente il vero ateo non lo pensa. Oltretutto gran parte dei mattatoi si compiono in nome di qualche Dio. (Mercoledì a Teheran hanno impiccato il primo giovane manifestante, per il reato di inimicizia con Dio, poi se ne sono vantati). Eppure conta che le vittime sentano così. Quando tutto sprofonda, può succedere che le vittime dicano a se stesse: Se tutto è permesso, Dio non esiste. 

Il Papa Francesco, temo, è stato tradito dal successo retorico della formula della “guerra mondiale a pezzi”. Ora ha superato anche qui un Rubicone, e ha detto che “questa terza guerra mondiale a pezzi è drammaticamente diventata, sotto i nostri occhi, una terza guerra mondiale totale”. Non è vero. Può succedere? Sì. Tutto può succedere, è l’unica ineluttabile lezione della famosa storia. Ma non è successo, e dirlo è solo un modo per rimanere presto senza parole.

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