Foto di Ansa 

Piccola posta

Il governo ucraino è responsabile della morte di Dugina: un avvertimento o un semplice scoop?

Adriano Sofri

L'uccisione della figlia di Dugin sarebbe responsabilità ucraina, ma non è chiaro perché i servizi di intelligence americana avrebbero dovuto far trapelare la notizia. A oggi la fine della guerra potrebbe essere solo sul campo perché i due paesi si sono negati il negoziato di pace a vicenda

Ho letto la notizia del New York Times sull’intelligence americana che attribuisce a personalità del governo ucraino l’autorizzazione all’attentato dello scorso 20 agosto in cui è morta, probabilmente al posto di suo padre, Daria Dugina. Poi ho letto qualche centinaio di commenti dei lettori. Molti si chiedevano che cosa avesse spinto i servizi alla fuga di notizie in questo momento. Una volta tanto me lo sono chiesto anch’io. L’argomento prevalente è il malcontento per una segretezza degli ucraini sulle loro operazioni coperte nei confronti dell’intelligence americana, già emerso: “Siamo più informati delle operazioni russe che degli ucraini”. Una spiegazione più puntuale veniva offerta dagli autori della soffiata: la preoccupazione che omicidi mirati oltre confine, dunque diversi dagli attentati ai collaborazionisti nelle zone occupate, rinfocolino l’originario proposito russo di far fuori Zelensky e altre personalità del governo di Kyiv.

 

A questo punto, visto che ormai ero nel gioco, mi sono chiesto se il messaggio andasse completato con l’implicito avvertimento a non vagheggiare di far fuori Putin. Ambedue le mosse, potrebbe voler dire, avrebbero conseguenze imprevedibili e forse micidiali. Ma proprio nelle 24 ore precedenti sia Putin che Zelensky avevano compiuto gesti apparentemente senza ritorno: Putin dichiarando solennemente l’eternità – “per sempre” – dell’annessione delle quattro regioni, Zelensky firmando solennemente l’esclusione di qualunque negoziato finché al Cremlino resti Putin. Dunque i due presidenti, quelli cui poco prima il papa Francesco si era indirizzato per nome, si erano appena impegnati a costituire un reciproco ostacolo insormontabile al negoziato. Situazione che potrebbe rendere più ghiotta la tentazione di sbarazzarsi dell’uno o dell’altro, che il leak americano sembrava voler dissuadere.

 

Il Cremlino si è affrettato ad apprezzarlo, e contemporaneamente ad attribuire ai burattinai occidentali l’ordine impartito a Zelensky di escludere il negoziato con Putin in carica. Tutto appare piuttosto contorto: mordersi la coda. Gli americani continuano a stanziare fondi e consegnare armi, stando attenti a evitare la lunga gittata, ed è difficile che Biden e la sua amministrazione vogliano saggiare una svolta importante mentre sul campo le operazioni favoriscono l’Ucraina e l’elezione di mezzo termine è di qui a un mese. Ieri i portavoce di Mosca si sono sbizzarriti e superati in impudenza, assicurando fra l’altro di voler raffreddare la retorica del ricorso all’atomica di cui l’occidente sarebbe invasato. Ma ammesso che in qualche punto dello schieramento dei contendenti si volesse saggiare un’apertura di negoziato, su che cosa si farà leva?

 

La Russia, che a Kherson vede minacciata fin la Crimea, si è bruciata il terreno alle spalle con l’annessione “perpetua” di Zaporizhia, aggravata vilmente dal bombardamento indiscriminato sul capoluogo restato in mano ucraina. L’Ucraina si è vietata ogni trattativa con Putin, e del resto chiunque conosca lo spirito pubblico largamente prevalente in Ucraina sa che un’apertura di Zelensky al negoziato che preveda la rinuncia a qualunque parte del territorio occupato gli solleverebbe contro un’insurrezione. Un negoziato si potrebbe aprire solo se gli americani, e la Nato, e la coalizione occidentale, si spingessero ad addossarsene intera la responsabilità, esonerandone Zelens’kyj e la leadership ucraina: eventualità oggi pressoché impensabile.

 

Forse la fuga di notizie sulla corresponsabilità ucraina nell’uccisione di Dugina è stata appena un piccolo avvertimento di assaggio, una briglia tirata. Ma se ne conferma la reciprocità della pretesa guerra per delega, e lo scambio di parti fra supposti burattinaio e burattino. Per ora, niente può avvenire se non per qualche avvenimento imprevedibile – c’è sempre da prevederlo – o per un cambio che venga dall’interno della Federazione russa. 

  
Oppure la notizia dell’Intelligence su Dugina non è stata altro che uno scoop del New York Times. La stampa, bellezza.