Una donna di fronte a un edificio distrutto a causa dei bombardamenti russi (AP Photo/Kostiantyn Liberov)

Piccola posta

Come si muovono russi e ucraini dopo l'esplosione in Crimea

Adriano Sofri

Kyiv ha scelto finora la riconquista graduale del terreno fra Mykolaïv e Kherson, dove i russi bersagliano. Tra le due città c'è un capannone che ospita il primo soccorso ai feriti, ci siamo stati 

Mykolaïv, dal nostro inviato. C’è un posto suggestivo sulla strada, accessibile solo all’esercito ucraino, fra Mykolaïv e Kherson. Molti inviati lo conoscono, io ci sono arrivato solo lunedì, quando c’erano 38 gradi e uno scirocco caldo e una solitudine di campi abbandonati. Un capannone, vuoto di tutto il suo arredo, ospita il personale sanitario di primo soccorso ai feriti, che da lì vengono trasportati nelle ambulanze militari a un ospedale cittadino. La linea del fuoco si è allontanata via via che la parte ucraina guadagnava terreno, era a 8-9 km, è ora a quasi 20. Lo scambio di artiglieria è più vicino, ma non è specialmente intenso: nessuno batte ciglio alle esplosioni. Il commento, quando c’è, è convenzionale: nasci, i nostri. Può passare molto tempo nell’attesa, in un giorno benigno. C’è un medico per ogni ambulanza, il più anziano ha 66 anni, si chiama Viktor, è stato ginecologo, poi ha fatto la guerra che qui chiamano Ato, antiterrorismo, nei territori separatisti, e ora questa, dice. Parliamo, come al solito, delle famiglie rispettive, dei luoghi comuni del mondo. Sta aspettando l’arrivo di un ferito più grave, il cuore batte ancora. Il tempo passa, ne arrivano due invece, uno ferito in viso, l’altro a una gamba, ma, aiutati, si tengono in piedi. Viktor parte con loro. 

Di quelli che restano, una dottoressa, un’infermiera, altri due, uno con un cuore rosso fiammeggiante tatuato sull’avambraccio. “Cardiologo?”, chiedo. Mi guardano per dire Ma sei scemo, poi scoppiano a ridere: “Amore!”, esclamano. Restiamo con loro qualche ora, abbiamo un appuntamento a Mykolaïv più tardi, ho l’impressione che sia un buon posto in cui stare. Passano brevemente altri soldati, poi arrivano due georgiani della Legione Caucaso, composta, spiega l’uno che è stato marittimo e parla una lingua franca che comprende un po’ d’italiano, “da tutti quelli che preferiscono la libertà”. Qualche tempo fa è stato ferito, chiede se sono stati loro a soccorrerlo. Il suo compagno, pelo e benda nera da pirata, ha avuto un mancamento, lo rimettono in sesto. Intanto tocca al primo mostrare foto di famiglia e di luoghi, ma passa presto a mostrarmi l’innumerevole serie di fotografie della sua collezione di francobolli, raccolta in giro per il mondo, e di ognuna ricapitola la storia. Sono filatelico anch’io, lo assicuro, prendiamo accordi di scambio. Quello arrivato traballante sta già fumando, e prega di evitargli il passaggio dall’ospedale, che gli prescrivono: mi basterà togliermi per un quarto d’ora gli stivali, dice. Vanno via, tra grandi saluti. Andiamo via anche noi, a malincuore. Mi dico che una vita saggia, come quella che i vecchi trascorrono al bar o al parco in certe ore, andrebbe trascorsa qui, ad aspettare qualcuno sperando che non arrivi, o ad aspettare qualcosa sperando che arrivi. Siamo arrivati presto a Mykolaïv dopo che un coprifuoco speciale l’aveva sigillata per quasi tre giorni e tre notti. Ufficialmente, per agevolare la ricerca di infiltrati: qualcuno è stato trovato, pare, con le tasche piene di rubli e la memoria dei telefoni azzerata, espediente corto.

Sabato un nuovo tiro di Himars aveva dato un provvisorio colpo di grazia ai famosi ponti sul Dnipro di Kherson, il ferroviario e lo stradale, rendendo più precaria la posizione delle forze russe a destra della riva, a rischio di restare insaccate tra il fronte e l’estuario del gran fiume, e con il collegamento tagliato con le retrovie e i rifornimenti. E’ questo ora il gran tema militare, oscurato, probabilmente non a caso, dalle provocazioni sulla centrale nucleare di Energodar, nell’oblast’ di Zaporizhia. I russi hanno fatto affluire sul sud di Kherson, diventata il primario oggetto del desiderio, molte migliaia di truppe distogliendole dal fronte del Donetsk. Nessuna delle due parti finora mostra di voler spingere verso lo scontro ravvicinato, benché la parte ucraina lo annunci insistentemente, col risultato almeno di far interrompere l’avanzata nel Donbas. Tutti prevedono che avrebbe comunque un costo enorme in vite, dei combattenti e della stessa popolazione civile rimasta chiusa nella città, perché la potenza di fuoco russa, sia pure indiscriminata e imprecisa, resta ingente dalla riva sinistra del Dnipro, dalla Crimea e dal mare. Martedì pomeriggio tuttavia c’è stata una serie di forti esplosioni, seguite da un vasto incendio, nella base aerea di Saky, nella Crimea occidentale, a oltre 200 km dalla più vicina linea del fronte: “un incidente”, secondo la Difesa russa.  Gli ucraini hanno finora scelto la riconquista graduale del terreno fra Mykolaïv e Kherson. Il comando russo se ne vendica tempestando Mykolaïv di missili, mirati o nel mucchio: nella sola provincia sono quasi diecimila gli edifici civili distrutti o gravemente danneggiati dai bombardamenti. Così ieri, nella notte fra lunedì e martedì, la prima dopo il coprifuoco totale e il tiro ucraino sui ponti, tutte le autorità avevano dato l’allarme massimo per la rappresaglia attesa su Mykolaïv, che non è avvenuta. Per un paradosso, la città abituata a essere colpita di notte e all’alba, si è svegliata dopo una notte quasi silenziosa. Chissà se si riesce a dormire, quando il silenzio diventa così raro e inspiegato. (Però, mentre scrivo, martedì pomeriggio, nuove esplosioni colpiscono Mykolaïv).

Mykolaïv in tempi normali ha sue attrazioni – il più grande e curato zoo, il diporto sul Bug – e il suo ruolo portuale e industriale, oggi impedito. Oggi non ha niente che spieghi l’attrazione speciale che esercita su noi estranei, se non di rivedere e ristupirci, ogni volta, in una città che davvero viene fatta segno a decine di missili micidiali, la libera tranquillità delle sue persone, pur in percorsi quotidiani – per fare la spesa, per andar fuori col cane, per cercarsi un’ombra – che costeggiano macerie già vecchie o fresche della nottata. Prima di ieri, non avevo sentito una storia di Mykolaïv che sarà raccontata come merita: c’è un giovane disabile (e altri sul suo esempio) che svolge con la sua sedia a rotelle un compito di trincea. Guarda attraverso il periscopio i movimenti della trincea opposta, e specialmente dei cecchini, e avverte. Sembra il libro Cuore, dite? A volte la vita imita i vecchi racconti d’appendice. 


P. S. I popoli hanno il diritto di difendersi, se attaccati: ci sono dei pensieri di una semplicità disarmante, per così dire, evangelica. Pensieri simili si possono dire, in una città come Mykolaïv, dove volontari cattolici italiani hanno deciso di abitare, aiutare, aiutarsi. La banale frase, sapete, non è mia. E’ del cardinale Parolin, segretario di stato vaticano. 
 

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