Amnesty Today

Amnesty International pubblica un report lacunoso e parziale sui crimini degli ucraini

Micol Flammini

L'inchiesta equipara aggressore e aggredito, presenta dettagli poco limpidi e non chiarisce il metodo di indagine. La scivolosa purezza dell'ong dimentica che l’Ucraina è costretta a combattere una guerra che non ha iniziato. La propaganda russa esulta

Amnesty International ha pubblicato un rapporto in cui afferma che “la condotta di guerra dell’Ucraina ha messo in pericolo la popolazione civile”. I ricercatori dell’ong, si legge nell’inchiesta, hanno trascorso  settimane a indagare sugli attacchi russi nelle regioni di Kharkiv, Mykolaïv e alcune zone del Donbas. Hanno visitato i luoghi colpiti, hanno intervistato i sopravvissuti e i parenti delle vittime, hanno analizzato le armi utilizzate  e hanno concluso che le forze ucraine hanno “lanciato attacchi da centri abitati, a volte dall’interno di edifici civili, in 19 città e villaggi”. In sintesi: cercavano le colpe dei russi e hanno trovato quelle degli ucraini. Le accuse vanno avanti: i soldati di Kyiv utilizzavano   gli ospedali e le scuole come basi militari. Il rapporto condanna i soldati di Kyiv e dice che “usare gli ospedali a scopi militari è un’evidente violazione del diritto umanitario internazionale”. La propaganda di Mosca ha subito esultato, dopo tutto è dal 24 febbraio che giustifica le stragi di civili dicendo che l’esercito russo non colpisce i cittadini, ma sono gli  ucraini che usano i  civili come scudi.

 

Il rapporto presenta diversi punti poco chiari: innanzitutto non vengono menzionati luoghi specifici né  dettagli. Katerina Sergatskova, giornalista ucraina e direttrice del sito Zabarona, spiega al Foglio che Amnesty ha basato la sua ricerca su interviste a testimoni, senza coinvolgere i rappresentanti del ministero della Difesa.  “Non è chiaro come e se gli investigatori abbiano verificato le prove. Il problema più grande è che Amnesty non ha accesso alla parte russa della guerra, non possono indagare le atrocità commesse nei territori occupati o sul territorio legale della Russia dove è stata bandita”. L’organizzazione doveva prendere una decisione e ha scelto di indagare solo una parte, quella della vittima, quella che le consente l’accesso. Sergatskova invita a prendere come esempio il bombardamento a Vinnytsia, che non si trova nelle aree investigate da Amnesty. La Russia spiegò che l’attacco era diretto contro  la Casa dell’ufficiale, dove  militari ucraini e stranieri si erano incontrati. La loro presenza non è stata dimostrata mai, anzi, la Casa dell’ufficiale  è ormai  un centro concerti, ma anche se ci fossero stati   militari all’interno, questo non li rende violatori del diritto internazionale. Invece il fatto che la Russia abbia bombardato la struttura è una violazione. Oppure, Mosca sta prendendo di mira tutto quello che ha a tiro, anche le fermate degli autobus, che difficilmente costituiscono una base per i militari.  La parte più grave del rapporto è che pretende di fare luce e di portare la verità con un’inchiesta parziale. “Non contiene alcuna informazione sui metodi di Mosca contro l’Ucraina e su come per prima Mosca abbia violato il diritto internazionale”. L’Ucraina è presentata come parte alla pari, come se tra aggressore e aggredito non ci sia differenza. 

 

Nel 2021, quando l’oppositore del Cremlino Alexei Navalny era stato imprigionato al suo ritorno in Russia, Amnesty International tolse il suo nome dalla lista dei “prigionieri di coscienza”, per commenti nazionalisti fatti in passato. Poi è stato reinserito, ma allora come oggi, l’organizzazione per mostrarsi al servizio della verità, della purezza, usa il trucco pericoloso dei pacifisti: dimentica che Navalny è stato avvelenato ed è rinchiuso in una colonia penale. Dimentica che l’Ucraina è costretta a combattere una guerra contro un aggressore che uccide e distrugge. Amnesty non potendo avere accesso alla parte russa si accontenta di investigare chi subisce la violenza, e la chiama verità. 

Di più su questi argomenti:
  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.