Fronte sud

Le minacce dalla Crimea

Micol Flammini

Dalla penisola è partita una delle direttrici dell’invasione e oggi parte il grano rubato da Mosca. Kyiv studia come liberarsi del pericolo incastonato tra il Mar Nero e il Mare d'Azov, il fortino che Putin si è costruito otto anni fa. Lezioni anche sul Donbas 

La Russia teme che l’Ucraina possa attaccare il ponte di Kerch, la struttura che collega la Crimea alla regione russa di Krasnodar inaugurata da Vladimir  Putin quattro anni fa e alla quale Margarita Simonyan, direttrice di Rt, dedicò un film, una commedia sentimentale patriottica: la definizione del genere cinematografico è la sua. Abbattere il ponte  sarebbe un risultato importante per gli ucraini: interromperebbe una delle arterie  usate dai russi per rifornire i soldati stanziati in Crimea. Gli ucraini hanno dimostrato di saper essere precisi e i russi, per evitare che il ponte venga colpito, hanno iniziato ad avvolgerlo di nebbia artificiale per nasconderlo alle ricognizioni aeree, correndo il rischio di tamponamenti tra gli automobilisti che lo percorrono.

 

La Crimea è la penisola che la Russia ha occupato nel 2014 e in otto anni l’ha anche preparata per l’invasione dell’Ucraina, che non è un’idea estemporanea, ma un progetto coltivato da tempo. Una delle direttrici lungo le quali Mosca ha mosso le sue truppe contro Kyiv è proprio la penisola: dalla Crimea è iniziato l’attacco contro Kherson, la  prima regione  occupata dai russi dall’inizio dell’invasione. Negli anni dopo l’occupazione della Crimea, l’Ucraina aveva cercato di interrompere le vie di comunicazione con il resto del paese e anche le riserve idriche. Ora Mosca ha annunciato che la Crimea è pronta a essere ricollegata con altri territori occupati, attraverso un “ponte di terra”, come lo ha chiamato il ministro della Difesa Sergei Shoigu, che la renda accessibile dalle oblast di Kherson e  di Zaporizhzhya, anche attraverso il ripristino dei collegamenti ferroviari. La campagna russa per russizzare il sud dell’Ucraina va avanti, è un’azione di forza che  mira ad avere il controllo sociale e burocratico. La penisola  ha un alto valore strategico: si allunga tra il Mar Nero e il Mare di Azov, che ormai è in mano russa. Negli anni dell’occupazione,  non è diventata il miracolo economico che Putin aveva promesso, anzi, si è impoverita nonostante il Cremlino le abbia destinato più sussidi che a regioni russe come il Daghestan o la Cecenia. Anche il turismo ne ha risentito e oggi, con la guerra e le immagini dei caccia che sorvolano le spiagge, gli alberghi hanno visto i loro ospiti diminuire ulteriormente: oltre un terzo rispetto allo scorso anno. L’aeroporto di Sinferopoli è chiuso e la penisola è parte cruciale del conflitto, si estende per acque in cui passano navi da guerra. Le altre navi che percorrono le acque della Crimea sono i mercantili carichi di grano. Il porto di Sebastopoli è uno dei punti chiave da cui esportare il grano rubato all’Ucraina. I cereali dei raccolti di Kyiv di cui la Russia si appropria vengono spesso portati in Crimea, dove, in parte, vengono mischiati con il grano russo, e mandati nel paesi disposti a comprarli. Secondo il Wall Street Journal, il bel tempo e i flussi russi del grano hanno contribuito a temperare la crisi alimentare. La Russia è uno dei più grandi esportatori di grano e quest’anno, secondo i dati relativi al periodo di aprile, ha esportato l’80 per cento in più rispetto allo scorso anno.  Una delle rotte del grano va  proprio da Kherson fino alla Crimea, dove viene caricato sulle navi e poi fatto partire. 

 

La Crimea, l’avamposto che Putin ha messo su con pazienza, piazzato tra i due mari ucraini, il Mar Nero e il Mare d’Azov, è oggi una delle condizioni che ha permesso all’invasione russa di procedere da sud. Per questo gli ucraini studiano  come liberarsi della minaccia che viene dalla penisola, che è nel cuore della strategia russa. In otto anni Putin ha creato la base dell’invasione e va tenuto a mente quando oggi si suggerisce di lasciare alla Russia il Donbas, il cuscinetto a est. Otto anni fa, con la Crimea, si preferì aspettare, lasciarla al Cremlino. Se si lasciasse il Donbas alla Russia, le conseguenze potremmo vederle nei prossimi otto anni. E’ questo che gli ucraini non si stancano di ripetere. 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.