I deputati sadristi con i lenzuoli a lutto per i manifestanti uccisi (LaPresse) 

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Al via il nuovo parlamento iracheno, con i curdi divisi e i populisti sciiti trionfanti

Adriano Sofri

La politica a Bagdad è un feuilleton, a ogni puntata si finisce con il fiato sospeso. Domenica si è riunita l'assemblea per la prima volta, dopo le elezioni politiche anticipate del 10 ottobre, segnate dalla protesta dell’astensione e dal successo di Muqtada al-Sadr, leader di un fortissimo movimento popolare

La politica irachena è un madornale romanzo d’appendice, o una serie, se preferite: ogni puntata si guarda dal concludersi e trova il modo di tenere il pubblico col fiato sospeso. Domenica il parlamento di Bagdad si è riunito per la prima volta, dopo le elezioni politiche anticipate del 10 ottobre, segnate dalla protesta dell’astensione e dal successo di Muqtada al-Sadr, 48 anni, figlio di un venerato leader sciita assassinato con altri due figli al tempo di Saddam, già a capo del cruento antiamericano “Esercito del Mahdi”, leader di un fortissimo movimento popolare nel quartiere orientale della capitale, Sadr City. Il versatile populista Sadr si presenta ora come il nemico della corruzione interna e della dipendenza dalle potenze straniere, che vuol dire soprattutto l’Iran e gli Stati Uniti. Ha stabilito perfino rapporti con il saudita bin Salman.

  

La sessione d’apertura doveva eleggere il presidente del parlamento – carica riservata a un esponente della minoranza sunnita – e i due vice, uno sciita e uno curdo. I deputati sadristi, 73 sui 329 dell’intero parlamento, il gruppo più compatto, erano arrivati avvolti nei bianchi lenzuoli funebri, in memoria delle centinaia di manifestanti caduti. La presidenza dell’assemblea toccava al membro anziano, il sunnita al-Mashhadani, 73 anni: attorno a lui si è formata una ressa, dalla quale Mashhadani è uscito per essere ricoverato in ospedale: “stanchezza”. Dopo un simile antefatto, una parte dell’assemblea ha abbandonato la seduta: i partiti delle milizie sciite agli ordini dell’Iran, l’assottigliatissima “Fattah” di al-Amiri (solo 17 seggi contro i 48 che aveva), e il partito sedicente “dello Stato di diritto” dell’ex-capo del governo al-Maliki. Sono le fazioni che insistono a dichiarare falsi e manipolati dall’estero i risultati elettorali. Con loro hanno abbandonato l’aula, più imprevedibilmente e clamorosamente, anche i deputati curdi eletti col Puk, il partito di Suleimanya, la zona vicina all’Iran, geograficamente e politicamente, della regione curdo-irachena. I fuorusciti pretendevano che la seduta non fosse valida: i rimasti, compreso il partito maggioritario curdo, il Pdk di Erbil, continuavano i lavori, eleggendo alla presidenza del parlamento il sunnita Mohammed al-Halbousi, al suo secondo mandato, con una larghissima maggioranza – 200 voti contro 14 all’infortunato Mashhadani.

  

I due vicepresidenti spettavano agli sciiti e ai curdi. Sono stati eletti il sadrista Hakim al-Zamili, con 182 voti, contro l’altro sciita, al-Shablawi, che ne ha avuti solo 34; e il curdo del Pdk (di Kirkuk) Shakhawan Abdullah con 180 voti contro l’altra curda Srwa Abdulwahid, di Suleimanya, sorella del fondatore del nuovo partito di “Nuova generazione”, con 34 voti. I 19 deputati del Puk sono restati fuori dall’aula, smentendo l’opinione che la divergenza col Pdk fosse solo di facciata, tesa a negoziare un maggior potere contrattuale (il parlamento dovrà eleggere il presidente della repubblica, carica che va anch’essa a un curdo), e segnando una rottura che può far retrocedere la regione del Kurdistan iracheno al tempo in cui i suoi due territori e le dinastie rispettive dei Barzani e dei Talabani erano separate da un confine ostile. A Suleimanya, alla presenza del presidente della repubblica irachena uscente, Barham Salih, si era appena tenuta una solenne commemorazione del secondo anniversario del “martirio” del generale Qassem Suleimani e del vicecapo delle milizie sciite al-Muhandis. 

  

Il risultato provvisorio è un clamoroso successo di Sadr. Il quale, mirando a formare per la prima volta un governo senza le altre forze sciite, ha fatto leva sulle divisioni fra le formazioni infeudate agli iraniani e le loro bande militari rivali. Ha cercato l’alleanza con le due grandi famiglie sunnite, per una volta persuase di non doversi dividere. E ha puntato a staccare la maggioranza curda del Pdk dal Puk, sempre più debole e ostaggio dei filoiraniani, e indebolito nella stessa Kirkuk che era stata la sua roccaforte. Una ricomposizione curda può forse avvenire sul voto, da tenersi entro un mese, per la presidenza della repubblica, che esige una maggioranza dei due terzi. Il Puk sembra intenzionato a ricandidare Barham Salih. Il passo più importante riguarda naturalmente l’incarico al primo ministro, che avverrà dopo ulteriori 15 giorni. Sadr può forse sostenere la conferma del premier uscente, al-Khadimi, che le fazioni sciite iraniane, dal loro aventino, additano addirittura come il complice dell’uccisione di Suleimani. Un forte feuilleton.

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