(Lapresse)

Piccola posta

Il terrore interno

Adriano Sofri

È quello condiviso da pm e giudici, descritto nel "Sistema" di Palamara

Ho letto il famoso libro-intervista di Palamara e Sallusti su “Il Sistema”. Non corro il rischio di veder peggiorata la mia fiducia nella magistratura, che infatti è uscita intatta da questa “storia segreta”. Sarei bensì curioso di sapere che impressione ne traggano i cittadini presso i quali sta andando a ruba. Immagino che se ne faccia soprattutto una lettura di costume, a partire dal titolo, mutuato dalla camorra. L’altro titolo naturale, “La casta”, era già preso, e presto fuggito di mano ai suoi autori. “Il Sistema” ha in più una connotazione criminale, che non guasta. Ma si tratta di spiccioli, i biglietti omaggio per la partita, il raddoppio per quattro anni al Csm dello stipendio di 6.000 euro e corsia preferenziale al rientro in carriera, la procura di Roma o un ministero, l’ospitalità fissa di qualche rete. Un’antica saggezza insegna a puntare su una modesta corruzione pur di sventare le sciagure della purezza. La questione, cioè, se i migliori magistrati non siano i peggiori. 


E i politici? “Fino al 2018, Lotti era l’uomo più ricercato anche da tanti magistrati”. Lo sbalordimento per la notizia non impedirà di cogliere l’involontaria comicità di quel “ricercato”. E Piercamillo Davigo, “dato come vicino ai grillini”: ecco che cosa può fare la lingua a un uomo, senza nemmeno accorgersene. 

 
L’Anm e il Csm dedicano sessioni a discutere dei calzini del giudice Mesiano, e si sbrigano quanto “all’opportunità di occuparsi dei depistaggi su Borsellino”. “Nel nostro mondo”, dice Palamara, e intende la giustizia. “Nel nostro mondo la corrente di Unità per la Costituzione viene chiamata Unità per la prostituzione”. Le sue roccaforti – i suoi bordelli principali, dunque – “sono Napoli, Catania e Roma”. C’è dello spirito di categoria. C’è invece un’aria loscamente spiacevole nell’insistenza con cui Palamara chiama a correo Loris D’Ambrosio, consigliere giuridico del Quirinale di Napolitano e morto di quello. E’ morto, non risponde. Altri sono vivi. Di alcuni vengono puntigliosamente fatti i nomi. Ma qualcuno dovrà pur riconoscersi in una dichiarazione come: “Negli ultimi dieci anni non c’è un magistrato di Cassazione, un solo procuratore o procuratore aggiunto che non sia arrivato a quel posto attraverso il metodo Palamara”. Lo spodestato titolare del metodo sa che siamo in “un’epoca di grande attenzione alla sfera privata e ai diritti delle donne”. Lui, la cui sfera privata e le cui donne sono state messe in piazza, pubblica conversazioni in cui colleghe e colleghi gli raccomandano: “Ma non lo dire a nessuno, ti prego” (Maria C.), “Non dire a nessuno che ti ho detto questo” (Nicola C.), “Tienilo per te…” (Paolo A.). Non sono solo i pentiti di mafia a mettere da parte le frasi da smerciare in estremi. 


Appena qualcuno minaccia di scalfire il Sistema, spiega Palamara, viene fuori a farlo secco un cecchino. Il proiettile più micidiale mi pare compendiato in un verbo, “lambire”. Il tal magistrato “è lambito da un’indagine”, e il salto di carriera o la ribellione al Sistema si rompono. 

 
Non sono nemmeno sfiorato – lambito – dalla tentazione di dare un gran credito all’effusione di Palamara. Uno che dice: “Nulla accade a caso, c’è sempre un meccanismo, un sistema invisibile che si muove all’unisono”, sacrifica alla paranoia, per vanità o per autoindulgenza. Uno che dice: “La politica – lo ha insegnato un grande intellettuale come Canetti – ha anche un lato oscuro”. Canetti, per dire questo? Si cerchi piuttosto una citazione sul lato chiaro. Palamara dice un’enormità come: “Nella magistratura vige un clima di terrore interno”, ed esagera, probabilmente. Ma esagera tanto che bisogna ridicolizzarlo, o smentirlo.


Ho un punto di vista speciale da far valere contro il mondo, i mondi interi. Non è il mio personale. E’ quello della moltitudine dei dannati che stanno nel fondo del Giudizio Universale, inforcati dai diavoli e arrostiti agli spiedi infernali, dopo essere passati per i tribunali. Là i procuratori e i giudici de “Il Sistema”, terrore interno e witz sulla Costituzione-Prostituzione, hanno indagato incarcerato giudicato miriadi di disgraziati. Là non sono stati resi più equanimi dalla povertà e dalla inermità degli anonimi pazienti, dalla loro irrilevanza per le carriere. Se esistesse una giustizia, non la divina e celeste, e nemmeno la terrestre dei desideri, ma una appena decente, appena professionale, allora l’ultimo dei condannati dall’ultima delle celle nude di una galera qualunque, il recidivo eroinomane ladruncolo e piccolo spacciatore, farebbe ricorso a una Corte d’onore, per essere stato condannato (o assolto, è quasi lo stesso) da un pubblico accusatore e un giudice che vivono un comune clima di terrore interno, si scambiano un voto e un biglietto per lo stadio, si accaniscono sui calzini turchese e lasciano correre l’opportunità di occuparsi dei depistaggi su Borsellino. 

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