Salvarsi dalla Shoah

Adriano Sofri

Il gran libro di Liliana Picciotto sugli ebrei d’Italia sfuggiti alla persecuzione tra il 1943 e il 1945

Ho impiegato fruttuosamente la domenica leggendo “Salvarsi”, un gran libro di Liliana Picciotto sugli ebrei d’Italia sfuggiti alla Shoah, 1943-1945 (Einaudi, 565 pp.). Mi ha fatto bene. Questa ingente ricerca del Centro di documentazione ebraica raffigura l’altra faccia del destino degli ebrei italiani, e degli italiani non ebrei, dopo quella studiata dalla stessa autrice nel “Libro della memoria. Gli ebrei deportati dall’Italia, 1943-1945” (1991-2001). Lì si trattava soprattutto dei 7172 ebrei arrestati a causa della Shoah, sui 38.994 componenti della popolazione ebraica in Italia. Qui si tratta dei 31.822 ebrei che si salvarono, l’81 per cento, la percentuale più alta in Europa dopo Danimarca e Finlandia. Come avvenne? Quanta parte ebbe il soccorso degli italiani non ebrei, e si può parlare di una “personalità altruistica” complementare alla “personalità autoritaria” che offrì una così vasta complicità alla persecuzione? Raul Hilberg distinse la società, rispetto alla Shoah, in carnefici, vittime e spettatori. La ricerca italiana si chiede se e come aggiungerle i soccorritori. La ricerca ha ricostruito la storia di ben 10.599 persone che si salvarono, oltre un terzo del totale: un archivio impressionante, oltre che per il numero, per la qualità delle storie personali e famigliari, raccolte nel tempo ultimo della testimonianza orale. “Nessuno prima di noi si era posto, in maniera sistematica, la domanda di chi fossero i salvi e come mai si fossero salvati”. Molti contarono solo su se stessi, fuggiaschi, spogliati e braccati. Altri incontrarono il loro prossimo. Non esito a dire che questa lettura è la più fruttuosa e la meno affannata a prendere la misura delle cose che stavano consumandosi domenica per l’Italia e gli italiani.

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