Roberto Formigoni scortato da due guardie entra nel carcere di Bollate. Foto LaPresse

Roberto Formigoni in carcere: desiderio di vendetta e insipienza giuridica

Rocco Todero

Lo spazzacorrotti è la manifestazione del disprezzo per la civiltà e per il liberalismo che pervade oramai l’opinione pubblica italiana

Il problema non è certo difendere Roberto Formigoni. La Cassazione ha emesso un giudizio definitivo e per convenzione abbiamo ritenuto che questo è tutto quello che sul piano giudiziario c’era da dire.

Coloro che non hanno letto nemmeno un documento processuale dovrebbero avere la decenza di rimanere in silenzio, rispettando il diritto del condannato di continuare a professarsi innocente e quello degli addetti ai lavori, ben informati, di potere esprimere un’opinione, quale che sia, sull’intera vicenda giudiziaria.

Del resto la differenza fra verdetto e sentenza sta tutta qui: il verdetto è una decisione senza motivazione, la sentenza, almeno in Italia, deve essere accompagnata dalla rappresentazione del ragionamento che il giudice ha compiuto e dalla indicazione delle prove che ha utilizzato per condannare o assolvere l’imputato. Questo percorso argomentativo non è infallibile per definizione, viene reso pubblico per essere sottoposto ad un ulteriore giudizio, quello dei tecnici e di quella parte d’opinione pubblica capace di comprendere e criticare quanto fatto dall’Ordine giudiziario.

La questione centrale, dicevamo, non è la difesa di Roberto Formigoni, ma il barbaro desiderio di rivincita violenta fattosi governo e legislatore; epifania del disprezzo per la civiltà e per la cultura liberale che pervade oramai l’opinione pubblica maggioritaria di questo disgraziato Paese.

Come spiegare diversamente il provvedimento d’una maggioranza parlamentare che si fa beffe del principio d’irretroattività (cardine dell’interno ordinamento penale) e che impone il divieto di detenzione domiciliare per chi ha commesso un reato nel periodo in cui la legislazione prevedeva invece la possibilità di concedere il beneficio?

Come spiegare in altro modo l’ostinazione d’emanare una disciplina legislativa che può colpire retroattivamente e in senso peggiorativo solo coloro che appartengono alla schieramento politico opposto e che è stata pensata, scritta e pubblicata, nella piena consapevolezza di sapere in anticipo quali sarebbero stati gli avversari che avrebbero potuto essere annichiliti e mostrati al pubblico ludibrio per fini elettorali?

Come interpretare l’ostentazione guascona e volgare di definire “spazzacorrotti” un testo di legge che sospende la prescrizione del reato e lascia l’imputato in balia della feroce inefficienza giudiziaria italiana per un tempo indeterminato?
Il problema non è quello di discutere delle vicende giudiziarie di Roberto Formigoni, potentissimo politico nazionale caduto in disgrazia.

Il dramma è di non riuscire a contrastare l'insipienza  di quella giurisprudenza italiana che si ostina a ritenere che alle norme processuali, anche a quelle che incidono platealmente sulla libertà personale in senso peggiorativo, non si applichi il divieto di retroattività.

Una giurisprudenza che non si avvede del fatto che allo Stato è riconosciuto il potere assoluto di massacrare la vita degli esseri umani sotto l’ipocrisia della “frode delle etichette” (chiamare piuma quella che in realtà è una sciabola).