Roberto Formigoni (foto LaPresse)

18 anni di governo della Lombardia, spiegati

Luca De Simoni

Parla Nicola Sanese, capo della struttura organizzativa della Regione con Roberto Formigoni. Sussidiarietà, autonomia, sanità, scuola, lavoro. Perché è un modello che vale

Milano. “Quando mi chiamò mi disse: ‘C’è un programma, sulla base del quale siamo stati eletti, ora ci tocca realizzarlo’”. Se vi sembra di averla già sentita, dalle parti del governo gialloverde, siete fuori strada. Molto. A raccontarlo così, l’inizio dei diciotto anni a fianco di Roberto Formigoni, i diciotto anni che hanno fatto della Regione Lombardia un modello di gestione, e anche un’idea di governo del territorio, è Nicola Sanese, l’organizzatore che sotto la presidenza Formigoni è stato, in diversi ruoli, sempre ai vertici della struttura organizzativa regionale. Classe 1942, aveva già fatto molte cose in politica, a Roma, quando Formigoni lo chiamò, e voleva chiudere: “Venivo da una lunga esperienza politica in Parlamento e al governo. Avevo deciso che era finita, perché ho sempre inteso la politica come servizio, e quindi con una scadenza. Il 27 giugno del 1995 Roberto Formigoni viene eletto presidente di Regione Lombardia e, sapendo della mia decisione, mi chiese di essere a capo della struttura amministrativa, prima come capo di gabinetto, poi come segretario generale. Il patto era quello che lui sarebbe stato il leader politico e io mi sarei occupato dell’attuazione delle scelte politiche”.

 

 

Roberto Formigoni e Nicola Sanese (foto Imagoeconomica) 

 

“C’è un programma, sulla base del quale siamo stati eletti, ora ci tocca realizzarlo”. Così iniziò, nel 1995. Dopo l’esperienza a Roma

Sanese non ama le interviste, e il riserbo istituzionale si è accentuato in questi ultimi anni, dopo la conclusione della lunga cavalcata alla guida della Lombardia. Il destino ha voluto che proprio nei giorni drammatici in cui il suo amico e referente politico, l’ex governatore Formigoni, ha varcato le porte di un carcere, Nicola Senese avesse programmato un suo intervento alla prima giornata della scuola di formazione politica “Conoscere per decidere” promossa dalla Fondazione per la Sussidiarietà, dalla Società Umanitaria e da altre associazioni di impegno civico. Sabato 23 febbraio. Tema: “Educazione, bene comune ed etica pubblica”, la professoressa Lorenza Violini, docente di Diritto costituzionale, Anna Finocchiaro, il vicesindaco di Milano Anna Scavuzzo, e Gigi De Palo, già assessore alla famiglia nella giunta romana di Alemanno.

 

“Un sistema relazionale organico: la Conferenza regionale delle autonomie lombarde, gli enti locali; il patto per lo sviluppo”

E Nicola Sanese, ora dice la sua, spiegando – anche agli immemori o a chi non lo ha capito – quale sia stato il senso, il valore politico e i risultati pratici e amministrativi di una esperienza la cui positività rivendica per intero. A partire dal giudizio su Roberto Formigoni: “A mio parere Roberto Formigoni è stato un ottimo leader politico. Io sono stato sottosegretario in ministeri e alla presidenza del Consiglio con De Mita, Craxi, Fanfani, sono stato per tre anni il segretario organizzativo nazionale della Democrazia cristiana, e ho avuto a che fare con tutti i leader, e posso assicurare che Formigoni aveva un’eccellente capacità politica. La vicenda giudiziaria che si è appena conclusa posso dire che è inquinatissima per ragioni non legate in alcun modo al diritto penale”. Quali erano le politiche, “il programma sulla base del quale siamo stati eletti”, cui il governatore le chiese di collaborare? All’inizio lei voleva smettere con la politica: “Io all’inizio dissi di no, volevo occuparmi di altro, e chiesi in che cosa consistesse. Il programma consiste in tre cose, fu la risposta. Primo, la libertà di scelta: dobbiamo mettere al centro del nostro programma la persona, il cittadino, tutti i 10 milioni dii cittadini di questa regione. Questo varrà per l’educazione, la salute, il lavoro, l’impresa, eccetera. Secondo: dobbiamo attuare il principio di sussidiarietà secondo la dottrina sociale della chiesa, partendo dai cosiddetti corpi intermedi, le famiglie, le associazioni e le imprese. Terzo, le istituzioni: le Regioni non godevano di buona fama allora. Erano arrivate in ritardo, solo nel 1970, erano un po’ acciaccate, specialmente la Lombardia in cui la Giunta era appena stata tutta arrestata… un disastro! Ecco, noi dovevamo ridare un po’ di dignità a questa Regione, sia in alto, nei confronti dello stato nazionale, sia in basso, verso le Provincie i Comuni, le Comunità montane, le Camere di commercio, le università. Ma soprattutto rispetto ai soggetti sociali: i corpi intermedi”.

 

Da dove nasceva questo programma, molto organico e con una precisa visione? “Non eravamo solo in due, io e lui: Fossimo stati da soli al massimo potevamo fare una cena! Vi era una forte condivisione ideale, da parte di chi si impegnò in quella avventura, altrimenti non ci saremmo nemmeno potuti immaginare di fare quello che abbiamo fatto. Una posizione ideale nata da una esperienza di fede comune, ma condivisa anche con persone non credenti ma che credevano nel rispetto della persona. Ho ritrovato in una parte dell’‘Appello ai liberi e forti’ di don Sturzo del 1919 descritto – seppur in altro contesto storico – quello che abbiamo provato a realizzare: ‘Ad uno Stato accentratore tendente a limitare e regolare ogni potere organico e ogni attività civica e individuale, vogliamo sul terreno costituzionale sostituire uno Stato veramente popolare, che riconosca i limiti della sua attività, che rispetti i nuclei e gli organismi naturali – la famiglia, le classi, i Comuni – che rispetti la personalità individuale e incoraggi le iniziative private’”.

 

Tra il ’95 e il 2010, gli anni più forti. Se avessimo smesso allora… Ma se erano tutte cose da buttar via… o sono tutti minchioni…”

Come le avete attuate, queste idee di fondo? “Racconto quello che abbiamo fatto tra il 1995 e il 2010, che sono stati gli anni più forti: i primi dieci per mettere radici e consentire, gli altri cinque per realizzare. Ahimè, se avessimo smesso allora, come avremmo dovuto, forse ci saremmo risparmiati molti dispiaceri… Ma anche in quell’occasione io fui messo in minoranza: la democrazia d’altronde, qualche difetto ce l’ha”. Ci racconti. “Siamo partiti costruendo un sistema relazionale organico, nel quale istituzioni, autonomie funzionali e governo regionale si confrontavano e cooperavano per raggiungere i medesimi obiettivi attraverso la condivisione di specifici impegni, secondo le responsabilità e le competenze di ciascuno. Sono state istituite la Conferenza regionale delle autonomie lombarde, come sede permanente di confronto con gli enti locali; il patto per lo sviluppo, che impegnava la Regione e tutti i soggetti del partenariato economico sociale (organizzazioni economiche, sindacali e sociali) a cooperare e agire sinergicamente; il comitato strategico competitività e il comitato del welfare per l’individuazione di strategie grazie al confronto con le personalità più rilevanti del mondo economico, sociale e accademico. Richiedevano una fatica micidiale di ascolto e mediazione, ma problemi che oggi vedo come conflitti, come le politiche sull’aria, Area B o l’aumento del biglietto a Milano trovavano in quelle sedi occasione di confronto e di condivisione strategica”.

 

Un tema cruciale è stato quelli della libera scelta e della sussidiarietà. “Ci siamo inventati, c’è voluto un po’ di tempo e anche una fatica terribile a farlo, il sistema della dote: l’abbiamo chiamata così, non ha avuto molto successo, forse perché era molto complicata, forse perché non è stata spiegata bene, però ora qui in Lombardia c’è: questa sussidiarietà da qualche parte bisogna farla, se no solo a citarla non funziona! Abbiamo preso il sistema di istruzione, formazione professionale e mercato del lavoro e abbiamo fatto in modo che il cittadino potesse scegliere tra il servizio svolto dal pubblico e lo stesso servizio svolto dal privato. Come fu fatto? E’ semplice a dirlo, complicato a farlo. Allora: non si finanzia più un servizio, ma direttamente la persona. Non si finanzia più il servizio, ma la persona che si gioca il suo voucher presso l’erogator che ritiene migliore. Non si pianifica più l’offerta dei servizi, perché l’offerta è definita dai soggetti erogatori. Abbiamo fatto l’elenco dei soggetti erogatori e li abbiamo convenzionati. La Regione aveva un ruolo diverso, nel gestire questa complessità: doveva definire gli standard minimi per l’accreditamento; e poi aveva il ruolo del controllo, fato direttamente e poi attraverso gli utenti: se infatti i cittadini non si servono più di un erogatore significa che questo ha qualche problema, e così scattavano le verifiche. La stessa cosa l’abbiamo applicata anche alla scuola, attraverso il buono scuola, ovvero una cifra, un buono, da poter spendere liberamente per l’istruzione dei propri figli”.

 

E invece nella Sanità, che cosa avere realizzato? “Sulla Sanità, abbiamo creato un sistema regionale di ‘quasi mercato’ in cui l’offerta di servizi viene fatta da soggetti pubblici e privati accreditati. Abbiamo operato, secondo la legge nazionale, alla

Modelli nuovi: “Non si finanzia più un servizio, ma direttamente la persona… Sulla Sanità, un sistema regionale di ‘quasi mercato’”

‘aziendalizzazione’ degli erogatori pubblici (ospedali, Asl), ma qui in Lombardia le abbiamo parificate alle strutture private, garantendo la libera scelta del cittadino, che può andare all’Ospedale di Niguarda o all’Humanitas, come crede. Così sono nate le grandi strutture private in Lombardia, lo Ieo, il Monzino, il gruppo San Donato e l’Humanitas, ad esempio, o sono proseguite le esperienze degli ospedali religiosi. Queste cose non le abbiamo solo dette, le abbiamo fatte. Tra l’altro, molte di queste permangono anche oggi: e allora io penso, così alla buona, se erano tutte cose da buttar via, diavolo, noi abbiamo smesso nel 2013, sono già passati tutti questi anni… o sono minchioni…”.

 

Qual è il segreto di Nicola Sanese, che lo rende ancora rimpianto, e in modo trasversale, a Palazzo Lombardia? “La novità più grande è stata un pieno accordo tra politici amministratori e dirigenti. Questa è stata la chiave, altrimenti sarebbe stato impossibile fare tutto questo. Qui c’è il patto che è stato sempre tenuto vivo. Perché senza la piena intesa tra la parte politica, che ha inteso programmare e attuare, e la parte della dirigenza che doveva realizzare, nulla si sarebbe potuto fare. Questo accordo si basava sul rispetto e sulla valorizzazione delle competenze di ciascuno, senza nessun pregiudizio rispetto alle posizioni politiche o religiose o di altro tipo”. Insomma, è andato tutto bene? “No, abbiamo lavorato con grandi fatiche perché le cose sono molto impegnative, però è stato un tentativo storico, e qualcuno si potrebbe divertire a studiare e a capire bene come sono andate le cose. In questi giorni si leggono delle cose che sono completamente assurde, mostruose, planetarie fake news. Noi non abbiamo fatto tutto bene, errori tanti, carenze tante, inadeguatezze, però su tutto il desiderio di concorrere a costruire un pezzo di bene comune un pezzo di bene per tutti i cittadini, questo è sempre stata la stella di orientamento”.

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