Mercato, capitalismo e globalizzazione: gli anticorpi per resistere al Coronavirus

Rocco Todero

Il lockdown ha imposto a milioni di persone di sopravvivere senza lavorare. Con la decrescita felice sarebbe stato impossible 

Nelle ultime settimane mi è capitato di leggere alcune ipotesi su ciò che sarebbe accaduto nel caso in cui il Governo non avesse ordinato e imposto il lockdown per contrastare la diffusione del Coronavirus. Secondo le ricostruzioni meno catastrofiste, si sarebbero registrati migliaia di morti in più rispetto a quelli che purtroppo siamo stati costretti a contare sino a questo momento. Negli scenari più cupi, invece, saremmo piombati nel bel mezzo di un’apocalisse di proporzioni inimmaginabili. 

Si tratta, tuttavia, di giudizi, cosiddetti, controfattuali; enunciati ipotetici nei quali le premesse sono false per definizione, poiché del tutto contrarie a ciò che in realtà è davvero accaduto.

Sulla verosimiglianza delle conclusioni alle quali giungono queste ipotesi e’ difficile esprimersi, poiché coloro che se ne fanno promotori presumono di prevedere effetti finali di catene causali che non si sono mai realizzate e che non sono riproducibili con alcun esperimento di laboratorio sociale.

Leggendo di questi esercizi di funambolismo previsionale mi sono chiesto come mai, invece, nessuno si fosse esercitato sinora a immaginare quanti morti avremmo dovuto piangere nel caso in cui il coronavirus avesse aggredito una società senza capitalismo, globalizzazione e mercato. 

L’obiezione che potrebbe trattarsi di esercizio intellettuale altrettanto sterile mi appare mitigata dall’utilità di potere delineare, con ragionevole certezza, alcune linee di fondo che dovrebbero servire da monito per evitare di vedere, in un prossimo futuro, alcuni fra gli scenari più cupi che i decisori politici nazionali non escludono oggi di preferire.

Non dovrebbe sollevare contrarietà, ad esempio, l’affermazione secondo la quale grazie all’elevatissima produttiva del settore agroalimentare è stato possibile per una percentuale ridottissima della popolazione, e per una ancora più contenuta porzione della forza lavoro, produrre e distribuire tutto il cibo necessario a soddisfare milioni di individui rimasti chiusi in casa per oltre due mesi. 

Senza questa immensa capacità produttiva un numero molto elevato di persone sarebbe stato costretto ad accettare il rischio di contrarre il coronavirus recandosi al lavoro per produrre alimenti per sé o per altri.

Non dovrebbe destare meraviglia nemmeno pensare a più della metà dei lavoratori italiani che ha potuto sospendere la propria attività senza morire di inedia, soffrire gravissime privazioni o andare incontro alla roulette della pandemia, grazie all’elevata produttività nei settori dell’energia e dei servizi pubblici essenziali. 

E’ difficile contestare, allo stesso modo, come gli elevatissimi livelli di produttività in tutti i settori dell’economia siano il frutto del progresso scientifico e tecnologico e delle economie di scala, debitori, a loro volta, degli ingenti investimenti di capitali di migliaia di piccole, medie e grandi imprese sparse per ogni dove.

Non si può dimenticare, infine, l’elevato grado di divisione internazionale del lavoro. L’alta specializzazione territoriale ha consentito, anche durante la pandemia, la più efficiente  produzione di beni e servizi, divenuti disponibili anche nel nostro Paese, come nel resto del mondo, grazie alla forza e alla penetrazione del commercio internazionale e dell'industria della distribuzione che opera su scala globale.

Senza i benefici della globalizzazione milioni di individui avrebbero dovuto abbandonare i fastidi della sosta forzata imposta dal coronavirus e affrontare avversità ben più scomode per assicurare l’autarchia economica alle loro Nazioni.

Durante la pandemia, mercato, capitalismo e globalizzazione, se davvero il lockdown è servito a qualcosa, ci hanno salvato da guai di gran lunga peggiori cui saremmo andati incontro con un’economia statalista, collettivista e protezionista.

Ricordiamolo ai sostenitori di quella sciocca tragedia che sarebbe la decrescita felice.

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